L’IMPERO E LA COESIONE DELLA
ECCLESIA UNIVERSALIS
1 Premessa
storiografica
H. von FICHTENAU, Il concetto imperiale di Carlomagno : Problemi della civiltà carolingia. Settimane di studio del Centro
italiano di storia sull'Alto Medioevo, I, Spoleto 1954, 251-298].
I fatti del Natale dell' anno 800
rappresentano uno dei punti più dibattuti e più controversi della produzione
storiografica. Basti un richiamo estremamente schematico alle posizioni
principali.
+
K. HELDMANN,
Das Kaisertum Karls des Grossen.
Theorien und Wirklichkeit, Weimar 1928: l'impero carolingio sarebbe
frutto di una decisione unilaterale ed improvvisa di papa Leone III, che in
tale modo mirava ad assicurarsi un sostegno indiscutibile sotto il profilo
legale contro i suoi avversari interni. L'impero carolingio non sarebbe
pertanto che una creazione del papato al servizio del papato: l'impero
medievale pertanto avrebbe un carattere soprattutto, se non esclusivamente, ecclesiastico.
+
E.E.
STENGEL, Kaisertitel und Souveränitättsidee.
Studien zur Vorgeschichte des modernen Staatsbegriffs : Deutsches Archiv für Erforschung des
Mittelalters, 3(1939)
1 – 56: all'origine dell'idea
imperiale vi sarebbe non papa Leone, ma Alcuino. Questi avrebbe applicato al
potere egemonico carolingio, potere che si estendeva su più nazioni, il termine
che in Inghilterra si usava per designare il sovrano, che stava al di sopra
degli altri re: secondo Stengel il Bretwalda in Inghilterra avrebbe goduto
ancor prima di Carlo Magno di titolo di imperator. Nel Natale dell'800 non si
sarebbe fatto altro che dare il nomen imperatoris al potere egemonico di Carlo:
elemento costitutivo di tale imperialità pertanto non sarebbe la sua funzione
ecclesiastica, ma la forza realistico-territoriale dei Franchi: l'impero
carolingio sarebbe soprattutto un fatto germanico. [Questa importazione del concetto imperiale dall'Inghilterra ad opera di
Alcuino é stata con validi argomenti ridimensionata da C. ERDMANN, Forschungen zur politischen Ideenwelt des
Frühmittelalters, Berlin 1951. Più recentemente é stato dimostrato che
i documenti anglosassoni, su cui Stengel ha fondato la sua tesi, sono dei falsi,
che attribuiscono al Bretwalda il titolo imperiale a partire dall'esempio
carolingio e non viceversa: R. DRÖGEREIT, Kaiseridee
und Kaisertitel bei den Angelsachsen : Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte,
Germanistische Abteilung, 69(1952),24-73].
+
H. LÖWE, Von Theoderich dem Grossen bis zu Karl dem
Grossen. Das Werden des Abendlandes im
Geschichtsbild des frühen Mittelalters : Deutsches Archiv für
Erforschung des Mittelalters, 9(1952) 353 401: il Löwe concorda
con lo Stengel nel considerare il titolo imperiale come riconoscimento del
ruolo egemonico di Carlo. Tuttavia secondo il Löwe alla base di tale
riconoscimento non vi sarebbe un influsso di Alcuino, ma piuttosto una tendenza
tipica del mondo germanico, della quale si era già avuta un'espressione con
Teodorico: la tendenza cioè a interpretare in termini imperiali ogni posizione
egemonica. Per il Löve un indizio a favore di questo assunto è dato dal fatto
che Carlo Magno fece trasportare da Ravenna ad Aquisgrana la statua equestre di
Teoderico. Anche in questo caso, quindi,
l'impero sarebbe soprattutto un fatto germanico.
+
W. OHNSORGE,
Das Zweikaiserproblem im früheren
Mittelalter. Die Bedeutung des bizantinischen Reiches für die Entwicklung der
Staatsidee in Europa, Hildesheim 1947: si sottolinea l'importanza che
l'impero bizantino ebbe nello stimolare, sia come modello sia come rivale,
l'affermarsi di una sensibilità imperiale alla corte franca.
+
L. HALPHEN, Charlemagne et l’empire carolingien,
Paris 21968, 119-121: si volle sostituire il titolo di imperator a
quello di patricius per dare fondamento giuridico ad una operazione, mediante
la quale Carlo, senza disporre di un vero diritto, aveva assunto su Roma e sul
papato prerogative, che erano tipiche dell’impero bizantino. Alla cerimonia
avrebbe fatto seguito una reazione di silenzio, di discrezione e di manovre
diplomatiche con l’indispettito potere bizantino miranti a scaricare sul papato
la responsabilità della iniziativa. Le fonti, che stanno alla base di questa
posizione, sono prevalentemente franche. Quindi il ruolo papale sarebbe stato
usato dall’ambiente carolingio in funzione di copertura diplomatica di una
iniziativa, che in realtà era stata proprio della corte franca e riproduceva
quanto era avvenuto con Pipino: avvalersi del peso religioso e morale del papato
per dare il giusto nome al dato di fatto. Il potere imperiale bizantino in
Occidente oramai non era più che un nome, mentre il potere regale di Carlo era
un dato di fatto indiscutibile: quindi al potere franco oramai spettava il
titolo imperiale.
+
H. von
FICHTENAU, L’impero carolingio,
Bari 1972, 100-109: l’idea dell’incoronazione imperiale di Carlo Magno non
poteva essersi formata tra i franchi, perché per loro l’idea di imperium
coincideva con l’idea di Herrschaft, quindi era sinonimo di sovranità, di
regno. Quindi l’incoronazione di Carlo sarebbe stata una iniziativa non
concordata, improvvisata, concertata dal papa con la nobiltà romana con
l’intento di porre un atto che affermasse chiaramente il carattere
romano-cristiano, non aquisgranense, dell’impero di Carlo. Con disappunto Carlo
avrebbe assistito alla sua elevazione imperiale, celebrata marginalizzando
quasi del tutto l’apporto della nobiltà franca e ponendo come atto primario
l’incoronazione da parte del papa e non l’acclamazione da parte del popolo.
Di fronte a questa pluralità di
interpretazioni si deve prima di tutto dire che essa dipende da un diverso modo
di valutare i dati, che ci vengono offerti dalle fonti storiche. Ci si potrebbe
allora domandare: quale di queste interpretazioni si rivela più aderente alle
fonti?
Credo che si debba rispondere in questi
termini: tutte e nessuna! Tutte infatti presentano innegabili aspetti di
verità; tutte però incorrono nel limite di assolutizzare tali aspetti di
verità. Infatti non solo la produzione storiografica, ma anche le stesse fonti
presentano una pluralità e difformità di interpretazioni: pertanto ritengo che
la “verità" (storica, si intende) non stia nel privilegiare questa o
quella fonte, ma stia piuttosto nell'assumere il dato documentario nella sua
globalità e complessità: si arriverà allora a concludere che nel Natale
dell'anno 800 si compì un gesto molto importante, ma non se ne aveva un'idea
molto precisa ed univoca.
2 – La
mentalità imperiale alla corte carolingia
Credo che in ordine alla formazione di tale mentalità sia stato determinante l’enorme sviluppo politico-territoriale del potere carolingio: si sa che Carlo Magno portò avanti con successo la politica espansionistica di Carlo Martello e di Pipino [774: conquista del regno longobardo, che vantava oramai due secoli di storia; decennio successivo: aggregazione dei Sassoni e degli Avari; 787: il ducato longobardo di Benevento viene sottomesso alla sovranità franca; 788: sottomissione del ducato di Baviera al regno franco ].
Ne conseguì prima di tutto che il potere
carolingio venne ad acquisire un carattere plurinazionale, chiaramente
espresso dal titolo, di cui Carlo Magno si servi nei suoi diplomi dopo la
campagna militare italiana del 774: Rex Francorum et Langobardorum atque
Patricius Romanorum.
In secondo luogo per via del suo carattere
plurinazionale il potere carolingio venne ad assumere nel mondo occidentale una
posizione del tutto singolare, prestigiosa ed egemonica. In questa prospettiva
re Carlo pretese che quei regni, che non erano sottomessi alla sua sovranità (i
regni della cosiddetta eptarchia anglosassone; il regno delle Asturie sui Pirenei)
riconoscessero il primato franco mediante un atteggiamento di amicizia.
Infine all'intento del mondo franco,
soprattutto alla corte franca, prese avvio un processo ideale per comprendere,
definire, esprimere il carattere plurinazionale ed egemonico del potere
carolingio: il titolo regale andava senz'altro stretto a questa entità, che
certo si distingueva dagli altri regni del mondo occidentale! Tale processo
ideale alla fine del secolo VIII, più precisamente negli anni novanta, assunse
un chiaro carattere di imitatio imperii.
Il processo ideale pervenne a ciò grazie
all'apporto di varie componenti culturali, che ora vorremmo delineare.
a - l'apporto culturale di Alcuino
Non va certo inteso nella linea della tesi di
Stengel, definitivamente accantonata dalla già citata opera di Drögereit. Ad
Alcuino invece si deve attribuire un importante influsso nella formazione della
concezione ecclesiastico-religiosa dell'impero.
Intorno agli anni 796 - 797 nella sua
edizione del sacramentario gregoriano Alcuino ritenne di dovere trasformare
l'espressione "Imperium romanum”, ivi ricorrente, in “Imperium
christianum", più adeguata al nuovo contesto politico e storico. L'impero
veniva così ad acquisire un'accezione propriamente religiosa, in quanto
rappresentava ed esprimeva il popolo dei battezzati, al di là dei
particolarismi, che avevano caratterizzato l’imperium Romanum.
Quale ruolo spettasse a Carlo in tale Imperium
chrístianum, traspare da una lettera di Alcuino (Alcuini epistolae 174 : MGH Ep. IV, 288).
Il contesto storico in cui tale scritto si
colloca é caratterizzato da due fatti:
+
il trono
bizantino é occupato da una donna, Irene, che ha fatto deporre ed accecare suo
figlio Costantino VI;
+
papa Leone
III a Roma ha subito un attentato ed é accusato di spergiuro ed adulterio.
Nel giugno del 799 così si espresse Alcuino:
"Tre persone sono state finora al vertice della gerarchia del mondo: al primo
posto il rappresentante della sublimità apostolica, vicario di S. Pietro
principe degli apostoli, di cui occupa la sede. Ciò che é avvenuto all'attuale
detentore di tale sede, mi é stato fatto conoscere dalla vostra (scrive a
Carlo) bontà. In secondo luogo viene il titolare della dignità imperiale, che
esercita il potere secolare nella seconda Roma. Dappertutto si é diffusa la
notizia del come empiamente il capo di tale impero sia stato deposto, non da
stranieri, ma dai suoi parenti e dai suoi concittadini. In terzo luogo viene la
dignità regale, che nostro Signore Gesù Cristo vi ha riservato, perché voi
abbiate a governare il popolo cristiano. Essa supera le altre due dignità, le
eclissa in saggezza e le sorpassa. Pertanto é su te solo che si appoggiano le
chiese di Cristo, é da te soltanto che si attendono salvezza: da te,
vendicatore dei cristiani, guida di coloro che errano, consolatore degli
afflitti, sostegno dei buoni."
Come si vede, Alcuino assegnava a Carlo
all'interno dell'Imperium christianum un ruolo singolare in relazione alla
defensio Ecclesiae; tuttavia Alcuino non pensava tale ruolo in termini di
imperialità, né in termini di successione all'impero romano; non assegnava a
Carlo il ruolo di imperatore romano al posto del monarca bizantino, ma anzi
tendeva a distinguere la superiorità di
Carlo dalla decadenza del legittimo impero romano.
Si noti che Alcuino non faceva altro che dare
una sistemazione ideologica ad una prassi di Carlo, che negli anni precedenti
si era comportato già come defensor Eecclesiae non solo all'interno del suo
dominio, ma anche in relazione a tutto il popolo cristiano. Nel concilio di
Ratisbona del 792 e nel concilio di Francoforte del 794 Carlo aveva fatto
giudicare la questione teologica dell'adozianismo [si tratta della relazione dell'uomo Gesù con il Padre espressa in termini
di filiazione adottiva ad opera di Elipando, arcivescovo di Toledo ed accolta
anche da Felice, vescovo di Urgel, nel territorio franco della marca spagnola.
I Franchi vi videro una specie di "neo-nestorianesimo", in quanto
giudicarono la questione secondo il diritto germanico, che considerava
l'adozione come un legame piuttosto fluido; gli ispano-visigoti invece, secondo
la Lex Romana Visigothorum, che si ispirava al diritto imperiale romano,
ritenevano che l’adozione creasse un forte vincolo tra adottante ed adottato].
Era una questione che in gran parte interessava la Chiesa di Spagna.
Ancora nello stesso concilio di Francoforte
del 794 Carlo aveva fatto condannare un'espressione male tradotta del concilio
ecumenico Niceno II, che la corte bizantina aveva fatto riunire per annullare
il concilio iconoclasta di Hieria e per ripristinare il culto delle immagini.
Anche in questo caso Carlo si arrogò il compito di tutelare la fede
cattolico-romana in un ambito assai vasto, assai più vasto del suo regno,
ecumenico addirittura. Ma siamo così giunti a toccare un altro elemento, che
pure contribuì a sviluppare il tema della imitatio imperii.
b - la relazione ideale con l'impero
bizantino
I primi contatti con i Bizantini si ebbero
nel 781, in occasione della seconda venuta di Carlo a Roma. A Costantinopoli,
Irene, dopo la prematura morte del marito Leone IV ( 8 settembre 780), aveva
assunto la reggenza in nome del figlio minorenne Costantino VI. Per acquistare
maggiore forza politica all’interno Irene si era decisa a riprendere i contatti
con l'Occidente: conclusione di tali contatti fu un progetto di matrimonio tra
la figlia di Carlo Magno, Rotrude, e Costantino VI. Si rilevi che così un
esponente della dinastia carolingia si apprestava a penetrare nella sfera
imperiale: é presumibile che un po' tutta la dinastia carolingia sentì degli
stimoli verso suggestioni imperiali!
Il progetto di matrimonio, che aveva
sanzionato l'intesa tra Irene e Carlo, fu definitivamente abbandonato nei primi
mesi del 787, in occasione del nuovo viaggio di Carlo in Italia, che si
concluse con la conquista del ducato longobardo di Benevento, su cui anche i
Bizantini avanzavano pretese di influenza! Non ci interessa tanto vedere perché
si produsse una tale rottura; ci interessa piuttosto considerare le conseguenze
di tale rottura. In generale si può dire che la corte carolingia intraprese una
politica di chiara contrapposizione all'impero bizantino e ciò si manifestò
soprattutto su due fronti:
+ sul fronte dell'ortodossia: Carlo volle contrapporsi a Costantinopoli
quale autentico difensore della retta fede. L'occasione fu offerta dalla
questione iconoclastica. Leone IV, succedendo al padre Costantino V, aveva dato
un carattere più moderato alla lotta iconoclastica. Irene poi nel 780,
assumendo la reggenza, aveva deciso di porre fine alla iconoclastia e di
riportare in vigore il culto delle immagini sacre. Ora, secondo la mentalità
orientale, solo un concilio poteva annullare le decisioni conciliari di Hieria
(754). Perciò Irene nel 785 espresse a papa Adriano l'intenzione di celebrare
un sinodo ecumenico, invitandolo a mandare dei delegati. Col consenso del papa
nel 787 si celebrò il Concilio niceno II. I dibattiti conciliari rivelarono una
notevole povertà teologica ed il prevalere di considerazioni miracolistiche; il
documento finale invece espresse una teologia sobria e sicura: a partire dalla
distinzione tra latreia (λατρεία) e
proskunesis (προσκύνησις ), si affermò la legittimità del culto di venerazione per le immagini
sacre e si condannò come eretica la posizione iconoclastica (cfr Dz. - Sch.
600 - 603).
Gli
atti del concilio furono poi inviati a Roma, dove se ne fece una traduzione
errata, che non distingueva adeguatamente tra adorazione e venerazione,
ricorrendo indifferentemente al termine "adoratio".
A
questo punto Carlo Magno sferrò il suo attacco al Niceno II, che ai suoi occhi
aveva due torti: quello di avere completamente ignorato la Chiesa franca, che
non vi era stata invitata nonostante il suo ruolo prestigioso in Occidente e
quello di avallare, stando alla errata traduzione latina, l'adorazione delle
immagini. L'opposizione franca si espresse dapprima nei Libri Carolini (MGH Conc. II suppl.), che datano del 791 e
sono soprattutto opera di Teodulfo d'Orléans. I Libri Carolini accettano che
si faccia uso di immagini sacre e per tanto condannano le posizioni
iconoclastiche; tuttavia - sempre secondo i Libri carolini - le immagini,
essendo opera di mano umana, non hanno un valore religioso, ma solo
didattico-decorativo e quindi si deve condannare anche la venerazione delle
immagini, oltre che la adorazione delle immagini.
Per
giustificare la loro opposizione ad un concilio ecumenico, i Libri Carolini si
trovarono nella necessità di negare l'ecumenicità del niceno II. Secondo i
Franchi tale concilio non doveva essere considerato ecumenico né sotto il
profilo quantitativo (per l'esclusione della Chiesa franca, non poteva
affermare di avere goduto della partecipazione di tutta la Chiesa) né sotto il
profilo qualitativo ( per la mancanza della Chiesa franca non poteva vantare
la presenza delle chiese più significative: i Franchi qui sconvolgevano la
prassi tradizionale, che legava l'ecumenicità dei concili alla partecipazione
della Chiesa di Roma e dei quattro patriarcati d'Oriente: secondo i Franchi la
loro Chiesa doveva essere equiparata alle grandi chiese patriarcali).
Come
già dicemmo, l'opposizione al Niceno II si espresse infine nel concilio di
Francoforte del 794, dove si attenuarono i toni rispetto ai Libri Carolini e si
condannò soltanto l'errata espressione della traduzione latina: quanto al
problema della venerazione si scelse di non esprimere né una esplicita
riprovazione, né una esplicita ammissione.
+ Il
secondo fronte su cui la corte carolingia volle contrapporsi all’imperatore
bizantino concerne la concezione del potere imperiale. Sempre nei Libri
Carolini si vuole presentare re Carlo come il vero re cristiano, il nuovo
Davide, che rifiuta ogni superba concezione del suo potere. Perciò si criticano
i sovrani bizantini, che si arrogano il titolo di "Divus", di
"isapostolo, quando invece "tanta est distantia inter apostolos et
im-
peratores, quanta inter sanctos et
peccatores"(Libri Carolini
IV,20 : MGH Conc. II suppl. 212). Per questa ragione Carlo volle che nella
cappella palatina di Aquisgrana il suo trono non fosse collocato ad Oriente,
come era usanza presso i Bizantini, perché ad oriente sta Dio, che appunto
verrà da Oriente; pertanto il trono di Carlo fu collocato ad Occidente.
Nel
contesto di questa amicizia e contrapposizione nei confronti di Costantinopoli
vediamo comparire nell'ambiente carolingio alcune usanze bizantine: l'uso del
monogramma
l'uso
della bolla metallica per i documenti, la decisione di costruire ad Aquisgrana
una residenza stabile, con costruzioni, che si ispirano agli edifici imperiali
bizantini soprattutto italiani (per esempio la Cappella Palatina di Aquisgrana
ricalca il modello di S. Vitale di Ravenna, che a sua volta si rifà al
Triclinium aureum del palazzo imperiale di Costantinopoli. Anche le monete di
re Carlo imitano il ritratto imperiale del solidus aureo di Costantino).
Da tutto ciò traspare una chiara tendenza
carolingia a sentirsi un potere politico non inferiore, ma simile al potere
imperiale bizantino.
c – la relazione con il passato imperiale
dell’Occidente
Venutosi a trovare signore di gran parte
dell'Occidente, Carlo, sia con il ricupero della cultura classica sia mediante
i viaggi frequenti in Italia, stabilì un legame vivo con la storia di tale area
territoriale.
E' certo significativo che i Libri carolini,
il concilio di Francoforte del 794, Alcuino descrivano il territorio carolingio
facendo ricorso non più alle denominazioni forgiate sul nome dei popoli
germanici occupanti, ma ai termini classici, con cui nell'antichità venivano
designate le province della parte occidentale dell'impero: Italia, Gallia,
Germania. L'idea soggiacente é chiara: l'estensione del potere di Carlo
coincide grosso modo con quella che un tempo era la parte occidentale
dell'impero e che spesso fu governata da un imperatore. Sulla scia di queste
considerazioni si giunse probabilmente ad utilizzare in relazione al titolo
imperiale quel procedimento logico, con cui nel 751 si era giunti al colpo di
Stato e alla elevazione regale di Pipino: colui che aveva potestas sulla parte
occidentale dell'impero, colui che dominava le vecchie città imperiali
dell'Occidente, non doveva forse possedere anche il nomen imperatoris? Tanto più
che l'attuale titolare dell'impero era una donna, che aveva commesso l'orribile
delitto di accecare il figlio? Sono appunto queste le ragioni che l'autore
degli Annales Laureshamenses
adduce per giustificare i fatti del Natale 800: " Poiché allora nella
parte dei Greci veniva meno il nomen imperatoris, essendovi un impero femmineo,
parve bene al papa e a tutti i padri riuniti in concilio e a tutto il mondo
cristiano dì dovere chiamare
imperatore quel Carlo, re dei Franchi, che deteneva la Roma, dove i Cesari
avevano sempre avuto la loro residenza e pure deteneva le altre città imperiali
d'Italia, Gallia e Germania...." (Annales
Laureshamenses a. 800/801 :
MGH SS; I,38).
Siamo giunti oramai all'ultimo gradino del
processo di imitatio imperii, sviluppatosi alla corte carolingia: la singolare
posizione politico-ecclesiastica di Carlo nell'Occidente cristiano viene
sempre più intesa in senso augustale. Ce ne offre testimonianza l'epos
intitolato "Karolus magnus et Leo
papa", che é databile del 799 e fu redatto probabilmente a
Paderborn: a Carlo viene attribuito il titolo di Augusto; Aquisgrana viene
presentata come la seconda Roma, quasi in questo ruolo fosse subentrata al
posto di Costantinopoli (Karolus
magnus et Leo papa : MGH Poet.
lat. I, 366-379).
3 - La
mentalità imperiale degli ambienti romani
Si tratta ora di vedere come a Roma sia
sviluppata l'idea di elevare Carlo alla funzione imperiale.
Abbiamo visto che sotto papa Adriano a Roma
si volle tenere un atteggiamento, che si avvicinava alla indipendenza sovrana:
da una parte si evitava il rischio di ridursi al rango di semplice struttura
franca, dall'altra si codificava a livello pratico l'estraneità che era venuta
a crearsi tra Oriente e Occidente e che non si era ancora pienamente consumata
a livello giuridico-politico.
Due fatti nel corso dell'ultimo decennio del
secolo VIII contribuirono a creare una nuova relazione politica tra Roma, Franchi
e Bizantini.
+ Primo fatto: la situazione romana
all'avvento di papa Leone III.
Il 26 dicembre 795, giorno della sepoltura di
papa Adriano, divenne papa per elezione unanime Leone III: non apparteneva
all'aristocrazia romana ed era sempre stato una figura di secondo piano
(addetto al vestiarium papae; poi cardinale presbitero di s Susanna). Molto
presto il gruppo, che aveva collaborato strettamente con Adriano I, si pose in
netta opposizione, poiché il nuovo papa mostrava di volere emarginarlo
dall'amministrazione. Il gruppo d'opposizione era costituito da parecchi
esponenti dell'aristocrazia e da parenti del papa defunto: infatti lo
capeggiava un certo Pasquale, nipote di Adriano I. La delicatezza della
situazione interna spinse Leone III a rivedere la politica della quasi
sovranità ed indipendenza pontificia, che finiva con il lasciarlo in balia
dell'opposizione. Quindi il nuovo papa si decise ad interpretare una
politica di più netta dipendenza dal re franco: non appena eletto, Leone III
non solo fece pervenire a Carlo il decreto di elezione, cosa che Adriano I non
aveva fatto, ma pure gli inviò le chiavi della confessio sancti Petri, il
vessillo di Roma e la richiesta di missi, che raccogliessero il giuramento di
fedeltà dei Romani. In una parola, Leone III riconobbe a Carlo un potere
politico su Roma. Ciò ebbe ulteriore dimostrazione nel fatto che Leone smise di
datare i suoi documenti secondo gli anni del suo pontificato, per introdurvi
gli anni di governo di Carlo in Italia.
L'opposizione dapprima lanciò contro Leone
III le pesanti accuse di spergiuro ed adulterio e poi passò alle vie di fatto.
Durante la processione delle rogazioni del 25 aprile 799 un gruppo di
cospiratori si buttò sul papa, tentò di accecarlo e mutilarlo della lingua,
nell'intento di renderlo inabile all'ufficio papale, quindi lo trascinò nel
monastero di s. Silvestro, dove di fronte all'altare si procedette
probabilmente alla svestizione e alla deposizione di Leone III, che poi fu
rinchiuso nel monastero di s. Erasmo.
Il pronto intervento del duca franco di
Spoleto e del missus regio Wirundo da una parte impedì che i facinorosi
passassero alla elezione di un nuovo papa, dall’altra. consentì a papa Leone
di fuggire da Roma e stabilirsi a Spoleto.
Re Carlo, informato dell'accaduto, invitò il
papa a Paderborn per discutere insieme la situazione. L'incontro avvenne alla
fine di luglio: papa Leone fu ricevuto con tutti gli onori, che si addicono ad
un papa ancora in carica. Il papa invocò un intervento di Carlo contro i
cospiratori; quasi contemporaneamente l’opposizione fece pervenire a Carlo una
accusa contro il papa, con la relativa richiesta di procedimento giudiziario: e
così Carlo si trovò ad essere arbitro della situazione. E' legittimo ritenere
che a Paderborn si sia già prospettata la necessità, o almeno l'opportunità, di
un'elevazione imperiale di Carlo, data la natura degli interventi richiesti.
Da una parte si trattava di un intervento
giudiziario, che riguardava la persona del papa: un'azione di Carlo, quale
patricius Romanorum, sarebbe stata di dubbia legittimità per due ragioni:
un'azione giudiziaria in Roma del patricius Romanorum, Carlo, era
giuridicamente discutibile, in quanto in Roma il potere giudiziario dipendeva
ancora per sé dall'imperatore bizantino e veniva esercitato dal prefetto della
città; in secondo luogo un'azione giudiziaria nei confronti del papa, condotta
dal patricius Romanorum, era senz'altro inaccettabile, poiché coloro che non
accettavano il principio affermato dalle pseudo-decretali di papa Simmaco (501
c.) "Papa a nemine iudicatur", ritenevano senz'altro che un papa
dovesse essere giudicato se non da un concilio, per lo meno da un imperatore.
Pertanto chi richiedeva a Carlo un intervento giudiziario sul papa in Roma,
doveva necessariamente attribuire a Carlo un ruolo di tipo imperiale e non di
semplice patricius!
Dall'altra parte si trattava di un intervento
giudiziario contro coloro, che avevano cospirato contro il papa, commettendo il
crimine di lesa maestà. Ora anche sotto questo profilo solo il potere imperiale
avrebbe potuto agire in maniera giuridicamente ineccepibile, perché il diritto
imperiale romano riservava siffatto caso criminale all'imperatore! Pertanto
anche papa Leone, invocando l'intervento di Carlo contro i suoi nemici,
attribuiva a Carlo un compito da imperatore, più che da patrizio!
Si può dunque concludere che il fatto che la
questione concernente papa Leone sia stata sollevata davanti a Carlo e non
davanti alla corte bizantina, é di per sé significativo dell'orientamento
generale romano.
+ Secondo fatto: gli avvenimenti di
Costantinopoli.
Abbiamo visto che Roma fino al pontificato di
papa Adriano dall'esperienza del disinteresse bizantino non aveva tratto la
decisione di una rottura politica, ma aveva soltanto derivato una pratica
indipendenza. Nel Natale dell'800, con l'incoronazione imperiale di Carlo, si
espresse un atteggiamento politico diverso: si affermò la rottura politica con
Costantinopoli e la sottomissione ad un nuovo potere sovrano. Quindi ci
domandiamo: che cosa nel frattempo può avere determinato una tale svolta? La
risposta ci pare chiara: i fatti che si sono verificati nel 797 a
Costantinopoli. Il potere imperiale era giunto nelle mani di una donna e ciò
rappresentava una inaudita novità giuridica, cui guardare con esecrazione: il
pensiero medievale riteneva che si dovesse sempre e soltanto restaurare il
diritto antico ed eterno e quindi considerava tutte le novità giuridiche come
opera dell'anticristo. Il potere imperiale inoltre era detenuto da una donna,
che si era macchiata dell'orribile delitto di abbacinamento del figlio,
mostrando di essere priva di bona voluntas e quindi di esercitare un
inaccettabile potere tirannico. In tale frangente a Roma deve essersi
sviluppata la convinzione secondo cui il titolo imperiale si sarebbe reso
vacante e quindi bisognasse attribuirlo a Carlo, quale persona più idonea a
portarlo. Una traccia di questa mentalità si riscontra in due mosaici fatti
preparare da papa Leone proprio intorno agli anni 798-799.
Il primo di questi mosaici fu collocato nel
Triclinium (sala di rappresentanza) del palazzo lateranense: nell'abside era
stato rappresentato il Cristo nell'atto di inviare gli apostoli; sul lato
sinistro appariva un Cristo in trono nello atto di consegnare il pallio a
Pietro, inginocchiato alla sua destra, ed il labaro a Costantino,
inginocchiato alla sua sinistra; sul lato destro invece era Pietro a consegnare
il pallio a papa Leone ed il vessillo a re Carlo: sotto quest'ultima scena era
stata apposta la didascalia: "Beate Petre donas vitam Leoni papae et
Bictoriam Carulo Regi donas". Si noti che come papa Leone è collocato in
parallelismo con Pietro, così re Carlo corrisponde a Costantino, imperatore
cristiano: con ciò si voleva esprimere l'idea secondo cui la difesa della
chiesa romana, del papa e della città di Roma era passata dai successori di
Costantino in Oriente al re dei franchi in Occidente: re Carlo sarebbe
subentrato al posto di Costantino.
Il secondo mosaico era stato collocato
nell'abside della chiesa di s. Susanna, di cui papa Leone era stato titolare da
cardinale. Vi era raffigurato Cristo al centro di una teoria di santi; tra i
santi comparivano papa Leone e re Carlo: si noti che questi non compariva quale
fondatore o restauratore della chiesa, nelle sue mani infatti non recava il
modellino dell'edificio, ma una spada. Evidentemente si voleva affermare che
Carlo svolgeva nell'Ecclesia il grande ufficio di difensore di quel papa, che
gli stava accanto.
Ci pare dunque di potere ritenere che a
Paderborn i fatti ed i problemi giuridici ad essi connessi abbiano stimolato
sia la mentalità imperiale franca sia la mentalità imperiale romana a
determinarsi nel senso di una elevazione imperiale di Carlo, da celebrarsi in
un prossimo futuro.
Si potrebbe obiettare: perché mai re Carlo ha
atteso più di un anno prima di realizzare tale progetto? Risponderei: Carlo
non poteva accettare di compiere un gesto così importante in un contesto
carico di gravi sospetti morali: Carlo per esempio non poteva accettare che a
incoronarlo fosse un papa Leone, sospettato di spergiuro ed adulterio: doveva
prima chiarirne l'innocenza! O ancora, Carlo non poteva accettare di essere
acclamato imperatore da una nobiltà romana, nel cui seno si trovavano i cospiratori
del 799! Dunque era venuto a crearsi un circolo vizioso: da una parte la
situazione esigeva la creazione di un nuovo imperatore, dall'altra la
creazione del nuovo imperatore era impedita dalla situazione concreta.
Perciò la conclusione dei colloqui di
Paderborn fu che papa Leone dovesse essere scortato a Roma: qui fu accolto come
un trionfatore (29 novembre 799). Col papa però erano venuti a Roma dei missi
regii con l'incarico di svolgere un'inchiesta sui fatti del 799 (Si noti che
l'inchiesta, dal momento che apparteneva alla fase istruttoria del procedimento
giudiziario, non era compiuta
dall'autorità giudiziaria, ma dalla autorità amministrativa: quale patricius
Romanorum Carlo godeva di poteri amministrativi su Roma e quindi l'inchiesta dei
suoi missi appariva pienamente legale).
L'inchiesta si svolse nel triclinium del
palazzo lateranense, dove spiccava il mosaico, che affermava il dovere di Carlo
in ordine alla difesa del papa. Furono raggiunti questi risultati:
·
circa i
cospiratori: dovette apparire abbastanza pacifica l'imputazione del crimen
lesae maiestatis, perché in nessun modo un errore personale del papa avrebbe
potuto giustificare l'attentato: perciò Pasquale fu arrestato e deportato nel
regno franco con alcuni compagni in attesa di giudizio;
·
circa il
papa: probabilmente non si raggiunse nessun risultato chiaro in ordine alle
sue responsabilità morali; con ogni probabilità invece si giunse a definire le
modalità procedurali: la posizione del papa si sarebbe dovuta giudicare in un
concilio presieduto da re Carlo.
Dopo questa carrellata sul complesso processo
politico e culturale, che ha portato ai fatti del Natale dell'anno 800 ci sia
consentita un'ultima osservazione: si rilevi la diversa impostazione della
mentalità franca e della mentalità romana
circa l'elevazione imperiale di Carlo. Per i Franchi propriamente non si
trattava di una elevazione imperiale, ma si trattava semplicemente del
riconoscimento di un dato di fatto: Carlo, per la forza militare del suo
popolo, già possedeva l'autorità, il potere di un imperatore: gli mancavano
soltanto il nomen imperiale, la dignitas imperiale: nel Natale dell'800 a Roma
quindi Carlo avrebbe ricevuto non il potere imperiale, ma solo il nome, la
dignità imperiale!
Per i Romani invece si trattava di una vera e
propria elevazione imperiale, di una vera e propria "provisio
imperii". Si capisce così come mai le fonti franche e le fonti romane
divergono nell'interpretare i fatti del Natale 800.
4 – Gli
avvenimenti del Natale dell’anno 800
a) le fonti:
una collezione completa delle fonti
concernenti l'incoronazione imperiale di Carlo é offerta da:
H. DANNENBAUER, Die Quellen zur Geschichte der Kaiserkrönung Karls des Grossen,
Berlin 1931.
Ci pare di potere distinguere le fonti in due
gruppi:
+ quelle
praticamente coeve agli avvenimenti: sono tre, per lo più si integrano a
vicenda raramente si contraddicono:
-
Vita Leonis III : Liber
Pontificalis, II, ed. L.Duchesne, Paris 1887, 7-8: vi troviamo espresso
il punto di vista degli ambienti papali; questa sezione della "Vita
Leonis" fu scritta verso l'801;
-
Annales regni Francorum (MGH SS rer. Germ. 112), a. 800/801:
esprimono la mentalità della corte franca; anche in questo caso la narrazione
fu scritta poco dopo gli avvenimenti;
-
Annales Laureshamenses (MGH SS, I, 37-38) a.800/801 (61): questa
sezione é opera di un discepolo di Alcuino (Richbodo) e rispecchia la mentalità
della nobiltà e dell'episcopato franco; é di singolare valore per gli
avvenimenti, che precedono immediatamente il 25 dicembre.
+ quelle posteriori e minori: ne ricordiamo
una soltanto:
-
Einhardi vita Karoli Magni: il capitolo 28 (MGH SS rer. Germ. 32), fu
scritta non prima dell'830.
Quest'ultima fonte merita
un'attenzione particolare per una notizia estremamente singolare, che riporta.
Poco dopo l'incoronazione imperiale Carlo Magno avrebbe dichiarato che se
avesse conosciuto le intenzioni di papa Leone III, non si sarebbe presentato in
S. Pietro, anche se in quel giorno si celebrava una grande solennità. Storici,
come Karl Heldmann, si sono fondati anche su questa notizia di Eginardo per
sostenere la tesi dell'impero carolingio frutto di una decisione unilaterale e
improvvisa di papa Leone. In realtà la critica storica più recente é molto più cauta nell'utilizzazione
della suddetta fonte (cfr P. CLASSEN, Karl
der Grosse, das Papsttum und Byzanz, 589 - 591).
[Il processo di formazione di una mentalità imperiale, da noi precedentemente
descritto, già basterebbe a fare cadere l'idea di un Carlo imperatore contro la
sua volontà. Quanto poi diremo sulla preparazione e la celebrazione
dell'avvenimento contribuirà a sua volta a mettere in dubbio la violenza, che
Carlo avrebbe dovuto inconsapevolmente e contro volontà subire!]
Si fa prima
di tutto rilevare che nella sua "Vita Karoli Magni" Eginardo vuole
riproporre lo schema letterario delle "Vite dei Cesari" di Svetonio.
Sulla scia di tale indicazione si rimanda al fatto che l'accenno al disappunto
di Carlo circa l'incoronazione imperiale non si colloca nel contesto della
narrazione degli accadimenti storici, ma fa parte del capitolo, in cui si
descrivono le virtù morali del buon imperatore: come in Svetonio ogni buon
imperatore é dotato della virtù della modestia, che si esprime nel disappunto
di fronte all'elevazione imperiale, così Carlo - secondo Eginardo - per
modestia dovette fare altrettanto.
Con ciò si deve forse concludere che Eginardo
ha inventato di sana pianta il rammarico dì Carlo? Probabilmente no: Carlo
dopo la cerimonia dovette esprimere riserve e critiche, che, sia chiaro, non
riguardavano l'elevazione imperiale in quanto tale, ma le modalità seguite,
che mettevano in gran rilievo il papa ed i Romani e lasciavano completamente
in ombra i Franchi, quasi non avessero nulla a che fare con l'imperialità di
Carlo. Ancora le riserve e le critiche di Carlo dovettero riguardare le
conseguenze di tale gesto, in particolare il deterioramento ulteriore dei
rapporti con l'impero bizantino.
b) i preliminari
Il 23 novembre 800 Carlo si presentò davanti
a Roma: mentre il Liber pontificalis se la cava in maniera sbrigativa,
ricordando che a Carlo furono tributati grandi onori, gli Annales regni
Francorum ci dicono qualcosa di decisivo: papa Leone accolse Carlo non più sui
gradini di S. Pietro, come aveva fatto papa Adriano nel 774, ma gli si recò incontro a dodici miglia dalla
città, ivi (Mentana) con Carlo fece colazione e poi da solo ritornò a Roma.
Il re franco fece il suo ingresso il giorno
successivo, accolto dalle schiere al canto delle laudes. Ancora una volta le
particolarità del cerimoniale hanno una certa importanza per scoprire la
mentalità papale: a Carlo non fu più riservato il rito di accoglienza del
patricius; gli si tributarono gli onori dell'adventus Caesaris.
Una settimana dopo Carlo si mise al lavoro:
il primo dicembre riunì in S. Pietro un concilio per affrontare il problema del
papa. Al concilio, secondo lo stile franco, presero parte clero e laici di Roma
e dei Franchi. L'assise non si trasformò in un procedimento giudiziario,
perché, per mancanza di testimoni ed accusatori formali, non si giunse mai a
formalizzare una precisa imputazione. Dopo tre settimane la questione fu accantonata
nel modo seguente: con atto libero, senza alcuna imposizione giuridica, il
papa il 23 dicembre dall'ambone della basilica di s. Pietro pronunciò un
giuramento purificatorio, in cui dichiarò la sua innocenza: " Per
giudicare questa causa il clementissimo e serenissimo signore, il re Carlo qui
presente, é venuto in questa città con il suo clero e con i suoi grandi. E
perciò io, Leone pontefice della S. Chiesa romana, senza essere giudicato e
senza esservi costretto da nessuno, ma per un atto di libera e spontanea
volontà, mi purifico e mi purgo in vostra presenza, davanti a Dio, che conosce
la mia coscienza, davanti ai suoi angeli, davanti a S. Pietro, principe degli
Apostoli, nella cui basilica ora ci troviamo, e dichiaro di non avere né
perpetrato, né ordinato di perpetrare i fatti criminali e scellerati, che mi
vengono addebitati" (Ph. JAFFÉ, Bibliotheca
rerum Germanicarum, IV, 378-379).
In questo caso si seguì la prassi franca, che
prevedeva nelle questioni contro i grandi il ricorso a questo giuramento,
qualora non fosse possibile formalizzare il capo d'imputazione: il giuramento
chiudeva la vertenza.
Solo gli
Annales Laureshamenses ci fanno sapere di un altro momento preliminare: un
concilio, con il papa in prima linea, dopo il giuramento di Leone III, avrebbe
deciso che "Carlo, re dei
Franchi, doveva essere nominato imperatore... A questa richiesta Carlo ritenne
di dovere rispondere positivamente, senza opporre rifiuti, ma sottomettendosi
umilmente a Dio secondo le preghiere del clero e di tutto il popolo cristiano
il giorno del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, con la consacrazione di
papa Leone; assunse il nome di imperatore." (Annales Laureshamenses a. 800/801 : MGH SS, I, 38). Gli
Annales Laureshamenses in questo contesto riportano quelle motivazioni, cui già
accennammo (cfr idem, p.50).
c) La cerimonia del Natale
Le notizie ci sono offerte da due fonti: il
Liber Pontifiralis e gli Annales regni Francorum.
Le fonti ci informano che l’incoronazione
imperiale di Carlo fu celebrata in san Pietro. Quindi la cerimonia non avvenne
nel corso della messa della notte, che per tradizione si celebrava in S. Maria
Maggiore "ad praesepe": era una messa poco partecipata, alla quale
presenziavano solo alti dignitari e qualche membro del clero romano; perciò si
scelse di situare l’incoronazione nel contesto della messa del giorno di
Natale, che era tradizionalmente celebrata in san Pietro e che era molto più
frequentata: pertanto non la notte di Natale ma il giorno di Natale avvenne
l’incoronazione imperiale. Quando nel corso della Messa, dopo la preghiera
davanti alla Confessio sancti Petri, Carlo accennò a levarsi in piedi, il papa
gli posò sul capo una corona preziosissima ed a quel punto tutti i romani
presenti, plures sanctos invocantes, acclamarono Carlo imperatore; infine il
papa compì la proskunesis davanti al nuovo imperatore.
Tentiamo ora di comprendere il cerimoniale
nelle sue varie parti e nella sua globalità.
·
L'INCORONAZIONE.
L'uso della corona come simbolo della sovranità probabilmente era estraneo al
mondo franco prima di Carlo Magno. La cosa invece era divenuta usuale nel mondo
bizantino a partire da Costantino: pertanto é legittimo pensare che nel Natale
dell'800 si é fatto ricorso al cerimoniale bizantino. Esso prevedeva due tipi
di incoronazione in occasione della elevazione di un nuovo imperatore.
+ L'incoronazione connessa con la elevazione
di un Hauptkaiser (imperatore maggiore). Il cerimoniale prevedeva come primo
momento l'acclamazione fatta dall'esercito, dal senato e dal popolo
nell'ippodromo: questo era l'atto che propriamente costituiva l'imperatore nel
suo potere; il secondo momento era rappresentato dalla incoronazione, che a
partire dal V secolo veniva celebrata dal patriarca di Costantinopoli: questo
atto non aveva il valore giuridico di conferimento ed insediamento in ordine al
potere, ma aveva solo il valore mistico di consacrazione di un potere già
presente a partire dall'acclamazione; faceva seguito infine la proskunesis.
+
L'incoronazione connessa con l'elevazione di un Mitkaiser (imperatore
associato, coimperatore). In questo caso non si aveva l'acclamazione
all’ippodromo, perché l'atto di elevazione e costitutivo in potere era compiuto
dallo Hauptkaiser, che decideva di associare il figlio (o altri) al potere
imperiale. Il primo rito pubblico era dunque l'incoronazione, che si compiva al
canto di invocazioni augurali da parte del popolo e si chiudeva con la
proskunesis.
·
L'ACCLAMAZIONE.
Secondo il Liber Pontificalis il contenuto della acclamazione sarebbe stato il
seguente: "Karolo piissimo Augusto a Deo coronato magno et pacifico
imperatore vita et victoria" (Liber
Pontificalis Il, ed. L.Duchesne, Paris 1887, 7).
Sempre il Liber pontificalis ci fa sapere che
i Romani - nulla si dice dei Franchi - ripeterono tre volte tale acclamazione
"plures sanctos invocantes”. Non c’e dubbio che queste invocazioni dei
santi altro non erano che le Laudes regiae franche, che già contenevano
un'espressione molto vicina alla acclamazione: "Carolo excellentissimo et
a Deo coronato atque magno et pacifico regi Francorum et Langobardorum ac
patricio Romanorum vita et victoria".
Quale valore giuridico si attribuì alla
acclamazione dei Romani? Si noti che per i Franchi le Laudes regiae non avevano
mai assunto un valore di atto costitutivo in potere regale: pertanto con ogni
probabilità i Franchi presenti alla cerimonia non dovettero annettere a tale
acclamazione, situata nel contesto delle Laudes regiae, il senso di elevazione
imperiale. Non sorprende allora che gli Annales Regni Francorum abbiano
interpretato la cerimonia in questo modo: "abbandonato il titolo di
patrizio, fu designato con il nome di imperator e augustus": quell'acclamazione per i Franchi altro non fu
che la prima occasione in cui a Carlo si attribuì il nomen imperiale. La
cerimonia in tale modo armonizzava perfettamente con la mentalità imperiale
franca, secondo cui Carlo già possedeva un potere imperiale e gli mancava
soltanto il nomen imperatoris.
Secondo la mentalità romana invece
l'acclamazione doveva avere un valore costitutivo, in linea con la lex regia di
Ulpiano.
Tuttavia si deve rilevare che nel cerimoniale
adottato a Roma l'atto giuridicamente costitutivo dell'acclamazione non trovò
una collocazione autonoma e previa rispetto al rito dell'incoronazione: senz'altro
nel rito romano il carattere costitutivo dell'acclamazione divenne meno
evidente che nel rito bizantino. Si deve quindi concludere che gli ambienti
papali, collocando al primo posto l'incoronazione per mano del papa e
collocando al secondo posto l'acclamazione, hanno voluto attribuire al papa più
che al popolo romano il potere di costituire l'imperatore nella sua autorità?
Risponderei senz'altro di no: si tenga presente che il prestigio morale e
politico di Leone III in quel momento era troppo precario, perché potesse
pretendere ed osare tanto; si tenga presente ancora che secondo la concezione
sacramentaria del tempo il ruolo del sacerdote aveva solo un carattere
strumentale: vero soggetto agente era Dio; infine si consideri la mentalità
espressa dal Liber pontificalis: "et ab omnibus constitutus est imperator
Romanorum": negli ambienti pontifici dunque non si giunse a riservare ai
papa l'atto costitutivo. Pertanto la collocazione data all'acclamazione si può
spiegare a mio avviso in due modi. Una spiegazione minimalistica: alla base di
tale collocazione non c'é una particolare motivazione ideologica, ma
semplicemente il fatto che a Costantinopoli da un secolo non si celebravano più
elevazioni di Hauptkaiser e pertanto era considerato solo lo schema usato per i
Mitkaiser (incoronazione, acclamazione augurale e proskunesis) e questo fu
ricopiato dagli ambienti romani.
Una spiegazione più impegnativa: alla base di
tale collocazione della acclamazione dopo l’incoronazione papale ci sarebbe
l'idea secondo cui non si può più compiere una elevazione imperiale senza la
partecipazione del papa: avremmo quindi una mossa innovatrice dell’ambiente
papale.
Con l'incoronazione di Carlo Magno dunque si
conclude un certo periodo di sviluppo della storia pontificia: si compie cioè quel processo di separazione
dal dominio bizantino, che era iniziato già nel III secolo. Come risultato ne
viene che praticamente abbiamo due imperi e due centri ecclesiastici
(Costantinopoli esercita in oriente funzioni di tipo primaziale, anche se
riconosce Roma come sede del papato).
In Occidente inizia una nuova epoca: la
cristianità occidentale ha due capi: il papa e l'imperatore, quindi già
comincia a profilarsi quella tensione bipolare, che impegnerà la cristianità
medievale fino a Ludovico il Bavaro. Roma, che per un certo tempo aveva cullato
sogni di autonomia quasi imperiali (cfr Constitutum Constantini), vede svanire
il suo sogno: Carlo diventa sovrano vicino ed attivo del Patrimonium sancti
Petri: se ne ebbe subito la dimostrazione allorché Carlo, una volta divenuto
imperatore, procedette alla condanna dei cospiratori (la pena di morte,
decretata da Carlo, fu poi commutata in esilio su richiesta del papa Leone
III). Il papa è soltanto amministratore di un territorio, che con il Natale
dell'800 non ha travato indipendenza, ma ha soltanto cambiato sovrano.
Si noti poi che il nuovo impero nasce
nell'incertezza: incertezza, come abbiamo visto, circa il valore della
cerimonia dell'incoronazione; incertezza circa le dimensioni del nuovo impero:
comprende anche l'Oriente? Da una parte la convinzione classica, secondo cui
l'impero sarebbe essenzialmente unitario, lo farebbe supporre; dall'altra la
situazione concreta depone in senso contrario. Si tratterebbe allora soltanto
di un impero occidentale, contrapposto a quello orientale? In questo caso,
quale dei due rappresenterebbe la continuazione del vecchio ed unico impero
romano?
Sarà con il passare del tempo che l'impero
carolingio assumerà contorni più precisi!
5 – Gli
sviluppi dell’impero carolingio (800-814)
Un primo passo verso la precisazione
dell'impero carolingio è segnato dalla “intitulatio", adottata da Carlo
Magno a partire dal 29 maggio 801: “Karolus
serenissimus augustus a Deo coronatus magnus pacificus imperator Romanum
gubernans imperium (non imperator Romanorum), qui et per misericordiam Dei rex Francorum et Langobardorum”.
Si noti che mentre da una parte si parla di
" rex Francorum et Langobardorum” dall'altra non si ricorre alla
corrispondente espressione "imperator Romanorum", ma si preferisce
invece sostituire il genitivo Romanorum" con la circonlocuzione
"Romanum gubernans imperium”. Siffatto artificio mostra che Carlo non
voleva legare la sua imperialità al solo popolo romano (imperator Romanorum).
né voleva collocare i Romani in posizione di priorità rispetto
ai Franchi e Longobardi (non mette prima imperator Romanorum e poi rex
Francorum e Langobardorum): Carlo non voleva cioè che si interpretasse tale
intitulatio nel modo seguente: Carlo è prima di tutto imperatore, in quanto è
sovrano dei Romani, che sono popolo imperiale e poi in secondo luogo Carlo è re
dei Franchi e dei Longobardi. Carlo invece volle presentarsi come uno, che era
imperatore, in quanto governava sia su quella entità geografico-politica, che
era comunemente indicata con l'espressione "imperium Romanum" sia sul
popolo dei Franchi e dei Longobardi. In questa prospettiva l’imperialità appare
come una dignitas, che sia sotto il profilo cronologico, sia sotto il profilo
logico consegue a una potestas augustale già presente. La distinzione tra
potestas e dignitas (e nomen) sarà poi un elemento costante ed essenziale
nell'impero medievale.
Questa distinzione non deve però portare a
sottovalutare il peso politico della dignità imperiale: nell'anno 802 Carlo
pretese da tutti i suoi sudditi il giuramento di fedeltà in nomen Caesaris: ciò
mostra che la dignitas, il nomen di imperatore, per il loro prestigio morale,
dovevano svolgere la funzione di ricondurre ad un unico e comune denominatore
le varie entità politiche, che sottostavano a Carlo per diverso titolo potestativo
(quale rex, quale patricius…).
Un secondo passo verso una più precisa
definizione dell'impero carolingio fu compiuto nel contesto delle relazioni
diplomatiche con l’impero costantinopolitano. Nell'anno 802, su iniziativa
dell'imperatrice Irene, Costantinopoli ed Aquisgrana divennero teatro di
trattative. Anche Niceforo, dopo avere detronizzato Irene (31 ottobre 802),
volle continuare a trattare con Carlo. I contatti furono bruscamente interrotti
nell’803, quando le due parti vennero a contrasto per la simultanea pretesa di
volere esercitare il loro potere sovrano su Venezia e sulla Dalmazia: negli
anni 806-810 si addivenne anche ad azioni militari. Finalmente nell'810 le due
parti tornarono ai negoziati, che giunsero a conclusione nell'812, sotto il
nuovo imperatore bizantino Michele: i bizantini riconobbero Carlo come
imperatore. Ma per capire la mentalità soggiacente, per cogliere
l'interpretazione bizantina dell'impero di Carlo, si deve prestare attenzione
ad una sfumatura terminologica: Carlo ricevette il semplice titolo di basileus,
l'imperatore bizantino invece da allora cominciò ad essere indicato dalla
cancelleria bizantina come basileus Romaion: con ciò evidentemente si voleva
affermare che vero impero romano era solo quello bizantino. L'impero carolingio
invece altro non era che un fatto onorifico, altro non era che un modo per
distinguere il regno plurinazionale dei Franchi dagli altri regni d'Occidente.
Evidentemente Carlo, poco incline a cogliere le sfumature dei bizantinismi,
dette al riconoscimento un valore ben diverso: Carlo si sentiva imperatore
d'Occidente così come Michele era imperatore d'Oriente e pertanto al collega
bizantino tranquillamente si rivolgeva come a fratello. Ad ogni modo sta il
fatto che con il riconoscimento bizantino l'impero carolingio acquistò una base
di diritto internazionale.
Nel settembre 813, pochi mesi prima della sua
morte, Carlo compì un terzo passo verso una più precisa definizione del suo
impero: decise di "creare" co-imperatore e quindi suo successore
l'unico figlio legittimo, che gli era rimasto, Ludovico. La cerimonia fu
celebrata nella cappella palatina di Aquisgrana: sull'altare era deposta la
corona imperiale; Carlo Magno dal trono rivolse al figlio un'allocuzione, in
cui venivano esposti i doveri di governo; Ludovico rispose con il giuramento di
adempiere con fedeltà i doveri del suo ufficio; infine Carlo Magno stesso passò
alla incoronazione del figlio. Si noti che si trattò di una incoronazione laica
e franca, che non vide la partecipazione né del papa, né del popolo romano.
Venne così respinta ogni tendenza, mirante a fare del papa e del popolo romano
dei "creatori di impero". Colui che creava il nuovo imperatore era
Carlo; l'atto che conferiva l'impero non era più l'acclamazione, ma
l'incoronazione; i grandi del regno franco espressero un consenso, che con ogni
probabilità non aveva valore costitutivo. Abbiamo dunque una nuova idea di
impero: non un impero romano, ma un impero franco-aquisgranense. Il suo
carattere franco si espresse anche nel fatto che si attenne alla concezione
patrimoniale-dinastica del potere: è l’impero dei carolingi.
A questo punto possiamo sinteticamente
presentare i caratteri, che definiscono l'impero carolingio:
1 - Carlo
Magno ha una dignità imperiale che si colloca accanto a quella dell'imperatore
d'Oriente;
2 - in
Occidente per la sua dignità imperiale, Carlo gode di una precedenza di dignità
sugli altri re cristiani esistenti: costoro tuttavia non gli devono nessuna
dipendenza di carattere giurisdizionale;
3 -
all'interno del dominio carolingio la dignità imperiale deve favorire l’unità
politica delle varie componenti etniche e politiche;
4 - in caso
di difficoltà, l'imperatore carolingio deve difendere la Chiesa romana ed il
patrimonium beati Petri (la defensio Romanae Ecclesiae è componente essenziale
della imperialità medievale ed è la ragione del sue carattere sacrale).
Quando nell'814 Carlo Magno muore, tutto
sembra oramai regolato: ma i Franchi dovettero presto accorgersi che così non era:
la saldezza dell'impero era dipesa dalla persona di Carlo più che dalle
strutture politiche, che Carlo aveva creato!
6 – Gli
sviluppi dell'impero sotto Ludovico il Pio (814 – 840)
Nell’azione di governo di Ludovico il Pio
possiamo distinguere due periodi:
a) primo periodo: dall'anno 814 all’822 circa Ludovico
agisce soprattutto sotto l’influenza di s. Benedetto di Aniane, il secondo
padre del benedettinismo, che muore nell'821. Si tratta pertanto di un periodo
caratterizzato da un forte slancio ideale, che si esprime in una notevole
azione, tendente al consolidamento dell'impero in unità, mediante un ricupero
ed una riorganizzazione della comune fede cristiana.
L’atto che più manifesta questa esigenza
di consolidamento dell’impero in unità è la “ORDINATIO IMPERII” dell’817 (MGH
Capitularia I, n.136, p.270 ss)
·
contenuto: il maggiore dei tre figli, il ventiduenne Lotario,
viene proclamato e incoronato co-imperatore dal padre Ludovico in Aquisgrana,
imitando quanto aveva compiuto Carlo Magno nell’813: Lotario poi dovrà essere l'unico
erede dell'imperialità paterna. Gli altri due figli invece sono posti a capo di
due regni parziali (Pipino: re di Aquitania; Ludovico il Germanico: re di
Baviera), con il dovere di subordinazione alla suprema autorità imperiale del
padre prima e di Lotario poi. Si noti che a questo punto l’impero appare come
un'entità unitaria, comportante dei distretti autonomi. Infine viene proibita
per il futuro una ulteriore divisione tra eventuali eredi.
·
significato: é espresso nel preambolo della "Ordinatio”:
"impedire che l’amore e la benevolenza verso i figli portino a spezzare
con divisioni operate dalla mano
dell’uomo quella unità dell’impero, che Dio ha voluto
preservare per noi: ché in quel modo grave dolore ne vorrebbe alla santa Chiesa
e noi ci meriteremmo l’ira di Colui che è la sola fonte del diritto di tutti i
regni". Si noti come alla base di tale
“Ordinatio” ci sia il principio teologico dell'unità della Chiesa, che coincide
(nella concezione del tempo) con l'impero. Il fratello maggiore Lotario, per
il servizio di tale unità, riceve in
esclusiva l'imperialità, che gli conferisce un potere giurisdizionale sugli
altri fratelli. Si noti ancora che la decisione fu presa dopo tre giorni di
digiuno e di preghiera: con ciò si voleva lasciare a Dio la responsabilità
della decisione, che pertanto veniva ad assumere il carattere di decisione
ispirata.
Dal
fatto che il consolidamento dell'impero in unità si fondava sul principio
teologico dell'unità della Chiesa, derivò la preoccupazione di collocare la
decisone politica della "Ordinatio" in un contesto di
ristrutturazione ecclesiastica: ciò si espresse negli anni che vanno dall’816
all'819, in una serie di assemblee tenute ad Aquisgrana. Nell'assemblea
dell’816 furono stilati due documenti: il primo riguardava i canonici delle
cattedrali, che furono sottomessi a una certa vita comune e claustrale
(Institutio canonicorum: MGH Concilia II, p. 312-421); il secondo riguardava
invece le monache (ibid. p. 422-456).
Una seconda assemblea, tenutasi
nell’817, emanò un documento riguardante
i monaci, che furono sottoposti in blocco alla regola benedettina secondo le
consuetudini di s. Benedetto di Aniane (ibid. p. 464-465; anche MGH Capitularia I, nn. 170 e 171, p. 343 ss).
Infine un'altra assemblea, svoltasi nell'818-819, promulgò una serie di
testi miranti alla riforma dell'episcopato e, più in generale, del clero secolare
(MGH Capitularia I, nn. 137 e 138, p. 273-280).
Ci rimane da vedere quale sia stata la relazione tra i due poli dell'imperium
christianum in questo primo periodo del governo di Ludovico il Pio.
Due sono i fatti salienti.
Il successore di Leone III (+ 12
giugno 816), Stefano IV, nell'ottobre di quell’anno volle recarsi in Francia
per avervi un incontro con Ludovico. L'incontro si svolse a Rei ms e fu caratterizzato da una cerimonia significativa:
il papa volle incoronare Ludovico con una corona, portata da Roma e fatta
risalire addirittura a Costantino: certamente tale incoronazione non ebbe
nessun valore costitutivo (tale valore infatti era insito nella incoronazione
di Aquisgrana dell’813): eppure tale incoronazione agli occhi del papa doveva
avere un valore particolare, doveva cioè esprimere l’opposizione romana
all'impero aquisgranense ed affermare il carattere romano-ecclesiastico
dell'impero carolingio.
Il
punto di vista imperiale circa Roma ed il papato fu invece enunciato da
Ludovico il Pio nel celebre "Ludovicianum” emesso il 24 gennaio 817 e
ricevuto a Roma da un papa nuovo, Pasquale II, dal momento che Stefano IV non
aveva retto alle fatiche del viaggio in Francia ed era morto poco dopo il ritorno.
In questo privilegio Ludovico concede libere elezioni del papa: l’elezione
deve essere comunicata all’imperatore dopo la consacrazione, pertanto Ludovico
non si riservava nessun diritto di approvazione; in secondo luogo si concede al
papa libertà di azione nell’amministrazione del patrimonio di san Pietro: l’imperatore
si riservava di intervenire come suprema
istanza di appello nel caso di oppressione dei cittadini da parte dell'amministrazione
pontificia (MGH Capitularia I, n. 172, p. 352-355) .
b) secondo
periodo: dall’822 all’840 (morte di Ludovico il Pio): in questo periodo inizia
il processo di disgregazione dell'impero carolingio, sottoposto all'assalto da
parte di diverse tendenze particolaristiche. Venuto meno Benedetto di Aniane,
Ludovico il Pio si trovò condizionato dalle pressioni di alcuni gruppi. Un
primo gruppo era costituito dall’entourage di Lotario e difendeva accanitamente
la "Ordinatio" dell'817. Un secondo gruppo faceva capo alla seconda moglie
di Ludovico il Pio, la bellissima ma assai intrigante Giuditta, che invece
mirava ad una revisione della "Ordinatio imperii", in quanto tale
provvedimento non concedeva nulla a Carlo (che poi sarà detto il CaIvo), il figlio
che aveva avuto da Ludovico il Pio nell’823, quindi dopo l’Ordinatio.
In un primo momento ebbe la meglio il gruppo
di Lotario, che riuscì a spingere Ludovico verso una politica di impronta
unitaria secondo lo spirito della "Ordinatio imperii": espressione di
ciò fu la "Constitutio Romana” del novembre 824, in cui la relazione papato-impero fu modificata rispetto al "Ludovicianum” per rendere più rigorosa l'unità
dell'impero.
· Invece di un'amministrazione pontificia,
sottoposta all'istanza suprema e straordinaria dell'imperatore nei soli casi di
oppressione, la Constitutio Romana prevedeva una ordinaria commissione di vigilanza,
residente a Roma e composta da un rappresentante imperiale e da un
rappresentante papale;
· quanto all'elezione del papa, la Constitutio
Romana non si accontentava più di una comunicazione all'imperatore a
consacrazione già avvenuta, ma stabiliva che l'eletto prima della consacrazione
dovesse prestare pubblicamente, di fronte al delegato imperiale, un giuramento
di fedeltà all'imperatore (MGH Capitularia I, n. 161, p. 323-324).
A partire dell’829 invece la politica di
Ludovico il Pio fu nettamente influenzata dal gruppo di Giuditta e pertanto
assunse un orientamento decisamente ostile alla "Ordinatio imperii" e
a Lotario, per favorire il piccolo Carlo. Poiché le concessioni a Carlo
venivano fatte a danno degli altri tre fratelli, si costituì una coalizione tra
Lotario, Pipino e Ludovico il Germanico contro il padre. Ludovico il Pio, dopo
d'avere domato una prima ribellione nell’830, nell'833 invece si trovò perdente
e costretto a una umiliante deposizione: Giuditta e Carlo furono senz'altro accantonati.
Ma a questo punto la coalizione dei tre fratelli si spezzò: Pipino e Ludovico
il Germanico, per raggiungere una indipendenza sovrana nei loro rispettivi territori, cominciarono ad avversare il potere
di Lotario.
Il primo marzo 834 Lotario fu costretto alla
fuga e Ludovico il Pio ritornò sul trono imperiale: pero oramai non era che un
imperatore debole, a capo di un impero notevolmente dilacerato.
Gli ultimi anni di Ludovico il Pio furono
occupati soprattutto dal problema della successione e della spartizione
territoriale tra i figli: la questione trovò soluzione nell'839.
·
Pipino morì
prima dell'intesa e i suoi figli rimasero senza eredità;
·
Ludovico il
Germanico, allora in lotta con il padre, ricevette soltanto la Baviera;
· la parte restante fu divisa in due parti
uguali tra Carlo il Calvo e Lotario; Carlo ottenne le terre ad ovest del
Rodano, della Saona e della Mosa più le contee di Lione, Ginevra, Toul e Provenza;
Lotario ottenne le terre ad est.
La divisione divenne effettiva alla morte di
Ludovico il Pio ( 22 giugno 840).
7 - Gli sviluppi dell’impero carolingio
dall’840 al 924
Alla morte di Ludovico il Pio Lotario assunse
il titolo imperiale e si accinse ad interpretarlo secondo gli orientamenti
della "Ordinatio imperii", cioè come supremazia giurisdizionale sui
regni dei fratelli. La cosa suscitò immediata razione da parte di Ludovico il
Germanico e Carlo il Calvo, che si allearono e nell’841 infersero al fratello
una pesante sconfitta militare.
Le trattative successive portarono al
fondamentale trattato di Verdun dell’agosto 843. Questo trattato stabili la
spartizione dell'impero in tre parti uguali quanto a dimensione e quanto a carattere
politico: Carlo il Calvo ebbe le terre occidentali dell'area francese; Ludovico
il Germanico quelle orientali dell'area germanica; Lotario le terre interne,
dalla Frisia alla Campania, comprendenti Aquisgrana e Roma, le due città
imperiali. A questo punto anche per Lotario l'imperialità é ridotta solo a
priorità onorifica: l'idea del primato giurisdizionale in funzione dell'unità é
completamente accantonata!
Si noti pertanto che con la spartizione
dell'impero in tre entità politiche indipendenti, l'impero cessa di essere
un'unità realistico-territoriale sottoposta all'unico potere giurisdizionale
dell'imperatore. L'unità dello impero ora sopravvive solo a livello ideale-ecclesiastico,
come societas, che trova suo
unico criterio di unità nella comune fede cattolico-romana, di cui l’imperatore
continua ad apparire come l’autorevole defensor. Ma è chiaro che questa
rilettura ideale-ecclesiastica dell'impero finisce col dare al papato un ruolo
di primo piano all'interno di tale entità.
Questa osservazione ci consente di capire quanto
avvenne nell'850. Lotario si trovò a sua volta a dovere dividere il suo
territorio (la Francia media) tra tre figli: al maggiore Ludovico II toccarono
il regno d'Italia e la corona imperiale; al secondogenito Lotario II toccarono
le terre più settentrionali dalla Frisia al Giura (Lotharii regnum da cui Lotaringia);
al terzogenito Carlo toccarono le terre dal Giura alla costa Azzurra,
correntemente dette regno di Provenza. Si noti che la base realistico territoriale
del nuovo imperatore Ludovico II si riduce all' Italia Longobarda e non comprende
Aquisgrana: l'impero cessa di essere franco aquisgranense.
Che cosa fa sì che il re di quel ristretto
lembo di terra, che è l'Italia Longobarda, si imponga sugli altri re, che
territorialmente non gli sono inferiori? Che significato assume in tale
situazione il titolo imperiale? La risposta é data da Lotario stesso nell'850,
quando, volendo elevare Ludovico Il al ruolo di co-imperatore, non compì l’usuale
incoronazione aquisgranense, ma mandò il figlio a Roma, perché ricevesse l’incoronazione
dal papa Leone IV. Così il titolo imperiale veniva a connettersi strettamente
con il carattere ideale-ecclesistico dell'impero, assumendo il significato di
dovere-diritto esclusivo in ordine alla defensio Romanae Ecclesiae, diritto-dovere
legato con la situazione di re d'Italia. Oramai ciò che distingue l’imperatore
dagli altri re carolingi é la sua prerogativa esclusiva di defensio Ecclesiae.
In questa prospettiva il papato venne ad
acquisire in ordine all’impero un diritto, che non gli sarà più negato per
tutto il Medio Evo: il diritto esclusivo di consacrare-incoronare l'imperatore,
defensor Ecclesiae. L'anno 850 pertanto segnò la vittoria del carattere ecclesiastico
dell'impero: distrutta la base realistico-territorlale, la dignitas imperiale
doveva appoggiarsi sul papato e sulla Chiesa romana, se voleva conservare un
certo splendore universalistico. Questo dato di fatto é riconosciuto dallo
stesso Ludovico lI in una lettera indirizzata all'imperatore bizantino Basilio
I, lettera redatta dagli ambienti pontifici e precisamente dal celebre
bibliotecario Anastasio. Vi si legge: “I principi franchi, che prima
possedevano il titolo di re, hanno conseguito poi quello di imperatore a
partire dal momento in cui hanno ricevuto a questo proposito dal papa l'unzione
con l'olio santo... Gli stessi suoi zii Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico
poi riconoscono la dignità imperiale a lui, Ludovico II, non già in ragione dell'età…
ma in seguito all'unzione dell'olio santo, conferita dal romano pontefice” (MGH
Epistolae VII, p. 385-394).
Nel contesto della pluralità di pretese alla
corona imperiale, conseguente alla pluralità dei regni carolingi, il papato, quale
coronator-consecrator esclusivo, venne anche ad acquistare la possibilità di
influire sulla scelta di colui, che doveva essere incoronato. Infatti Giovanni
VIII giunse ad affermare che "colui che deve essere incoronato, deve prima
venire chiamato e scelto dal papa" (MGH Epistolae VII, n. 163, p. 133).
Non sorprende quindi se nell'875, alla morte
di Ludovico II, che non lasciava eredi, la volontà di Giovanni VIII fu determinante
in ordine alla elevazione imperiale di Carlo il Calvo (+877). Di nuovo, alla
morte di Carlo il Calvo, Giovanni VIII si comportò da principale dispensatore
della corona imperiale e nell’881 incoronò Carlo il Grosso, figlio di Ludovico
il Germanico.
Nell'888, con la morte di Carlo il Grosso, il
titolo imperiale cessò di essere una prerogativa della legittima dinastia
carolingia e fu attribuito a coloro, che disponevano del potere in Italia: si
trattò di personalità di esiguo valore ed anche il titolo imperiale divenne
sempre più insignificante, al punto che dal 924 non fu più attribuito.
La grandiosa costruzione di Carlo Magno si
trovò sottoposta allo stesso processo di disgregazione, che aveva determinato
il tracollo della monarchia merovingia, in quanto della monarchia merovingia
aveva conservato le caratteristiche: concezione patrimoniale del potere
sovrano, conseguente spartizione della base realistico-territoriale del potere,
conseguente indebolimento del potere dinastico ed esposizione agli assalti particolaristici.
[Altri
fattori contribuirono a determinare il crollo carolingio: a) carattere plurinazionale
del dominio carolingio: le notevoli diversità etniche non favorivano certo la
coesione; b) la debolezza fisica dei carolingi, spesso stroncati in giovane età
da gravi disfunzioni di natura circolatoria; c) gli assalti esterni ad opera di
orde barbariche: Musulmani, Normanni, Ungari].
8 – Dall’impero carolingio all’impero
ottoniano (924-962)
L' aspetto più, macroscopico in questa fase
della storia occidentale é rappresentato
dall’accentuarsi del processo di frantumazione particolaristica, avviatosi
ufficialmente con il trattato di Verdun.
A dire il vero, sotto Carlo il Grosso, per
una fortuita coincidenza, si era ricostituita l’unità del dominio carolingio, infatti,
essendo venuti meno gli eredi legittimi sia della linea lotarica, sia della linea
di Carlo il Calvo, l' unico superstite della linea di Ludovico il Germanico,
Carlo il Grosso appunto, venne a trovarsi a capo di tutto il dominio. Ma alla
fine della vita di Carlo il Grosso (deposizione nell’887 e morte nell’888)
tutto tornò a sfaldarsi.
Si formarono vari regni, dei quali noi
considereremo solo i più importanti.
a) Regno di Francia: il potere fu per lo
più nelle mani di un ramo spurio della dinastia carolingia, ma continuamente fu
sottoposto al ridimensionamento sotto due profili:
·
da una parte
la dinastia carolingia dovette fare i conti con il potente gruppo nel
Robertingi, che alla fine nel 987 con
Ugo Capeto sostituì nel ruolo monarchico
la dinastia carolingia;
·
dall'altra
parte la dinastia carolingia prima e quella capetingia poi dovettoro sempre
fare i conti con la realtà feudale. Dal fatto che sia l’impero in generale sia
i singoli regni in particolare erano lacerati da continue lotte interno ed
assaliti da ondate di barbari, conseguì uno sviluppo accelerato ed anarcoide
del feudalesimo, che pertanto prese una direzione che Carlo Magno non aveva
previsto. In un primo momento i detentori di benefici vendettero la loro
fedeltà a quello tra gli aspiranti al
regno che offriva di più e domandava di meno: ne venne una progressiva
vanificazione della dipendenza feudale.
Poi, a mano a mano che la paralisi del
governo centrale si aggravava, i singoli detentori di benefici si sostituirono ad esso nei compiti indispensabili
di difesa ed amministrazione delle loro terre, governandole con poca o nessuna
considerazione degli interessi superiori dal sovrano (alla fine del secolo IX
in Francia già si contavano 29 entità politiche distinte; alla fine del X
secolo erano salite a 55). Di fronte a queste entità sempre più autonome e sempre
meno controllabili la monarchia dovette arrendersi ed accettare di governare, sottoponendosi
alla condizione del previo consenso dei signori feudali. Evidentemente la
presenza di centri di potere incontrollabili degenerò in una continua azione
dei più forti per sottomettere a sé i più deboli: fu l'anarchia! Diverso strutture
ecclesiastiche si trovarono coinvolte in questo stato di cose e finirono
travolte!
b) Regno d’Italia: alla morte di Carlo
il Grosso qui non si impose nessun esponente diretto del ramo carolingio;
pertanto il problema del potere in Italia generò lotte continue tra i centri di
forza, che si erano creati sul suolo italiano: marca della Toscana, ducato di
Spoleto, ducato del Friuli, ducato di Ivrea. Alla lotta talora presero parte anche
potenze non italiane, quali il vicino signore
della Provenza ed il vicino signore della Borgogna. Anche qui dunque fu estrema instabilità politica, fu anarchia!
c) Regno di Germania: anche qui alla
morte dì Carlo il Grosso si impose un ramo spurio della dinastia carolingia,
prima nella persona di Arnolfo, nipote di Ludovico il Germanico, poi nella
persona di Ludovico il Fanciullo, figlio di Arnolfo, che aveva solo 6 anni.
Assunse la reggenza Hatto, arcivescovo di Magonza. Anche qui si sviluppò un
processo di frazionamento, ma con caratteri diversi rispetto a quanto si è
riscontrato in Francia. Nel regno di Germania la franchizzazione non era ancora
penetrata in profondità e pertanto la particolarizzazione non si operò in base
alle esigenze del sistema feudale, ancora embrionale, ma secondo il criterio
dell'appartenenza etnica: si trattò pertanto di una frantumazione di
proporzioni assai ridotte e quindi facilmente controllabile da parte di un
potere monarchico forte. Praticamente si formarono cinque ducati etnici: il
ducato di Baviera, il ducato di Franconia, il ducato di Svevia, il ducato di
Sassonia, il ducato di Lotaringia.
Alla morte di Ludovico il Fanciullo (911),
rimasto senza eredi legittimi, il potere monarchico passò al duca più forte del
momento: il duca Corrado di Franconia. Fu
eletto con qualche esitazione dai Franconi, dagli Svevi e dai Sassoni, mentre i
Bavari non espressero il loro consenso. Il desiderio era infatti che il sovrano
fosse debole il più possibile, così che non potesse contrastare gli interessi
particolaristici. Alla morte di Corrado il potere monarchico passò nelle mani
di un altro duca, che nel frattempo era divenuto assai potente, il duca Enrico I di Sassonia, padre di Ottone I. La
cosa fu decisa da Corrado, che sul suo letto di morte consegnò ad Enrico I di
Sassonia le insegne regali: corona, scettro, bastone, spada, mantello di
porpora con fermagli d’oro. Ad Enrico I riuscì
di imporre il suo potere sovrano sugli altri duchi, riducendoli al ruolo di
rappresentanti della monarchia. Venne così a costituirsi una egemonia federale,
realizzata sotto la forma del diritto feudale (cfr H. MITTEIS, Le strutture giuridiche e politiche dell’età feudale,
Brescia 1962, 138). Ciò ebbe poi una
chiara dimostrazione nel 936, quando Ottone I, il figlio di Enrico I, assumendo
il potere regale, ritenne di avere una forza tale da potersi richiamare
addirittura a Carlo Magno: infatti si fece incoronare ad Aquisgrana e durante
la cerimonia i duchi gli prestarono giuramento di fedeltà.
In questa prospettiva il potere dei duchi
divenne una relazione di vassallaggio nei confronti del re tedesco. Stante
questa situazione di forza della monarchia, in questa parte dell’Occidente si
ebbe la pratica assenza della instabilità politica e della anarchia,
riscontrate altrove. Ma questa forza della monarchia tedesca si espresse
soltanto in una politica di coesione interna, impostasi attraverso le relazioni
vassallatiche, oppure era in grado di irradiarsi anche all'esterno, dando vita
a più ampie coesioni in Occidente? La risposta si avrà nell'impero ottoniano!
d) Patrimonio di S. Pietro: il periodo, di cui ci stiamo occupando, è
passato alla storia come il secolo oscuro del papato: l'inizio è segnato dall’assassinio
di Giovanni VIII, cui fu somministrato del veleno e fu fracassata la testa a
martellate (882).
[Coloro che
accostano il passato, mossi non tanto da preoccupazioni storiche, ma piuttosto
dal gusto di curiosità e del piccante, possono senz'altro rinvenire adeguate
informazioni in: LIUTPUANDO DA CREMONA, Antapodosis
: MGH III Scriptores III, p. 273-363. Non tutto ciò che vi si afferma è da
prendersi come oro colato: Liutprando era così appassionato del morboso e degli
intrighi, da forzare con la sua immaginazione la realtà, quando. non era
sufficientemente gustosa!].
Una prima cosa che balza all’occhio,
considerando il papato del secolo oscuro, è il numero rilevante di papi, che si
succedono sulla sede di Pietro: in 73 anni, dall'882 al 955, 24 papi: ciò fa intuire come tale momento sia
stato caratterizzato da una grave instabilità.
Un seconde rilievo: occorre tenere presente
la tensione all'interno del popolo romano circa la politica italiana: già
dicemmo che l'Italia, dopo Carlo il Grosso, divenne terreno di contese tra vari
centri di potere: il papato, per via della sua prerogativa in ordine alla
concessione della corona imperiale, si trovò a dovere prendere posizione o per
un partito o per altro. Ne conseguì che in Roma vennero a formarsi due tendenze:
+ quella che voleva privilegiare il vicino e
potente duca di Spoleto, in quanto la sua vicinanza poteva così trasformarsi in
aiuto contro le incursioni saracene nelle terre meridionali del Patrimonio;
+ quella che invece osteggiava il duca di
Spoleto, in quanto questi consolidava il suo dominio a spese del Patrimonio di san
Pietro.
In seguito al pontificato di papa Formoso la
tensione e la contrapposizione politiche divennero anche tensione e
contrapposizione ecclesiali:
+
da una parte
i formosiani, anti-spoletani;
+
dall'altra
gli anti-formosiani, filo-spoletani.
Papa Formoso (891-896) in un primo momento del
suo pontificato parve appoggiare la
corrente filo-spoletana, infatti nell’892 conferì la corona imperiale a
Lamberto, figlio del duca di Spoleto Guido: Lamberto divenne così co-imperatore
con il padre Guido. In seguito però papa Formoso mutò atteggiamento per via
della politica espansionista di Lamberto nella zona di Benevento e concesse la
corona imperiale al re di Germania, Arnolfo (896).
Di li a poco, alla morte di papa Formoso, il
partito filo-spoletano riuscì a prendere il potere nelle sue mani ed impose
come papa un suo candidato: Stefano VI. Si giunse così a scrivere una delle
pagine più macabre della storia del papato: si volle sottoporre papa Formoso, morto
già da nove mesi, ad un processo. Se ne riesumò quindi la salma, la si rivestì
degli abiti pontificali, la si fece comparire di fronte ad un concilio, riunito
in S. Giovanni in Laterano e se ne condannò la memoria. Si procedette perciò
alla svestizione del cadavere (= deposizione), si amputarono due dita della
mano destra (=annullamento dei suoi atti pontifici), si buttò la salma prima
nella fossa dei forestieri e poi nel Tevere. Questa condanna fu motivata non da
accuse di immoralità (papa Formoso era stato persona di notevole integrità
morale e di rigore ascetico: sul suo cadavere fu rinvenuto un cilicio), ma
piuttosto con accuse di natura giuridica: prima di diventare vescovo di Roma
Formoso reggeva la sede episcopale di Porto, e, secondo il diritto canonico del
tempo, non era lecito, né legittimo che un vescovo passasse da una sede ad
un'altra: ciò era considerato come un divorzio dalla prima sposa ed un
adulterio.
Evidentemente il partito dei formosiani non
poté sopportare una tale esasperante procedura e con un colpo di mano depose
papa Stefano VI, che fu chiuso in carcere, dove fini i suoi giorni strozzato!
Gli anni successivi furono sottesi dalla tensione costante tra i due gruppi,
finché nel 904 con papa Sergio III prese saldamente il potere il gruppo degli anti-formosiani.
In verità si trattò dell'abile manovra di una famiglia romana, che aveva
pensato di imporre il proprio potere sfruttando le tensioni, che indebolivano
il papato. Venne così alla ribalta della storia la famiglia di Teofilatto,
affiancato dalla moglie Teodora, una ninfomane, e dalle due degne figlie di
tanta madre, Marezia e Teodora junior. Teofilatto si schierò dalla parte di
Sergio III per un calcolo politico: Sergio, eletto papa dagli anti-formosiani
nell’898, non era riuscito ad imporsi sull'eletto dai rivali e si era dovuto
rifugiare presso il duca di Spoleto. Ora Teofilatto aveva capito che, appoggiando
Sergio, guadagnava senz'altro l'amicizia del duca di Spoleto, Alberico.
Infatti, di lì a poco Alberico divenne sposo della figlia di Teofilatto, Marezia
e così il potere politico della famiglia di Teofilatto divenne praticamente
indiscutibile per più di mezzo secolo: il papato, dal canto suo, non fu che un
docile strumento. Alla morte di Teofilatto Roma fu dominata da Alberico e Marozia.
Dal 924 il potere rimase nelle sole mani della vedova Marozia, cui nel 931
riuscì addirittura di imporre come papa Giovanni XI, un figlio, che con ogni
probabilità – ma senza l’assoluta certezza - aveva avuto venti anni prima da
papa Sergio III. Al figlio papa Marozia impose di limitarsi alle sole funzioni
liturgiche.
Nel 935, Alberico, nato da Marozia e Alberico
di Spoleto, accantonò la madre ed assunse il controllo della città fino al 954:
prossimo alla morte, Alberico strappò ai Romani il giuramento che suo figlio
Ottaviano (nome prestigioso) sarebbe stato non solo il prossimo duca ma anche
il prossimo papa. Infatti nel 955 il dux Ottaviano divenne papa Giovanni XII
all'età di sedici anni. Fu il primo papa che cambiò il nome e fu uno dei papi
peggiori, che la storia ricordi: si pensi che la fonte più benevola ci tramanda
questa descrizione: “Nell’uso del suo corpo fu tanto indecente ed audace,
quanto erano soliti esserlo i pagani. La sua occupazione maggiore fu la caccia,
come si addice più ad un uomo selvaggio che all'apostolico. Tutti i suoi
pensieri furono dediti alle cose vane: amava stare in compagnia delle donne,
detestava invece le assemblee liturgiche, cui erano preferite le chiassose
compagnie di giovinastri. Si consumò in una libidine tale, che ci mancano
parole sufficienti a descriverla" (BENEDETTO DI S. ANDREA sul monte
Soratte, Chronicon: MGH
Scriptores III, c.27).
9 – L’impero romano-tedesco di Ottone
Le premesse della renovatio imperii, che si è
compiuta nel 962, sono fondamentalmente 5:
I.
la notevole
posizione di forza della monarchia in Germania. Già abbiamo visto che con
Enrico I ed Ottone I la dinastia Sassone è riuscita ad ottenere la
subordinazione vassallatica dei vari
centri di potere, che si erano creati in Germania durante il periodo della
decadenza carolingia. Questo fatto ebbe un riflesso anche al di fuori dello
stesso regno di Germania;
II.
la monarchia
tedesca venne ad assumere un ruolo egemonico all'interno dell'apparato
carolingio in decomposizione: regno di Borgogna, regno di Provenza e regno di
Francia si lasciarono condizionare dalla superiorità di Ottone;
III.
la monarchia
di Germania, attraverso l’inclusione dell'Italia longobarda nella sua base
realistico territoriale, venne ad assumere un carattere plurinazionale. Qui
dobbiamo soffermarci sugli avvenimenti italiani degli anni 950 - 951. Nel 950
moriva il debole re Lotario, che deteneva in Italia la corona regale e subito
ne approfittò il più potente signore italiano del momento, Berengario di Ivrea,
per assumere il titolo regale. Presto però Adelaide di Borgogna, vedova di re
Lotario, si mise a capo di una corrente di opposizione a Berengario e dal
carcere, dove fu rinchiusa, riuscì a fare pervenire a Ottone di Germania un
appello di soccorso. Re Ottone nel 951 scese in Lombardia, ridusse
all’obbedienza Berengario, sposò Adelaide ed a Pavia cinse la corona di re
d’Italia.
IV.
La notevole
forza del potere monarchico tedesco, il suo carattere plurinazionale, il suo
ruolo egemonico all’interno dall'apparato carolingio fatiscente, si collocavano
in un contesto culturale caratterizzato da una forte nostalgia imperiale: fiorivano
con insistenza ed abbondanza leggende intorno a Carlo Magno; si parlava
dell’impero romano-cristiano come dei biblico quarto impero, che avrebbe dovuto
durare fino alla fine del mondo. E noi sappiamo che Ottone stesso era
suggestionato da queste idee: nel 936 volle farsi incoronare ad Aquisgrana,
volle assidersi sul trono, che già era stato di Carlo Magno. Si capisce allora
come nel 951, dopo avere cinto la corona di re d’Italia, Ottone abbia inviato
una delegazione a Roma per trattare con il papa in vista di una sua prossima
incoronazione imperiale, perché era ancora viva la convinzione secondo cui la
corona imperiale poteva essere concessa solo dal papa! La risposta
di papa Agapito II fu negativa. A ciò il papa era stato spinto da
Alberico, il signore di Roma, che certo non ambiva ad avere sopra di sé un
sovrano imperiale. Ottone ritenne di non dovere insistere ulteriormente, anche
perché lo richiamavano in Germania i continui assalti degli Ungari. Lasciò
l'Italia, affidandone la cura a Berengario d’Ivrea, che si era fatto suo vassallo.
V.
Ottone si
rivelava sempre più sovrano preoccupato della causa cristiana, della defensio Ecclesiae;
era del 955 la sua vittoria decisiva sugli Ungari presso Augsburg, vittoria che
lo aveva fatto apparire agli occhi
della cristianità occidentale come un liberatore. Pure in quegli anni Ottone
dette origine ad un'intensa attività missionaria nei territori limitrofi del
suo regno.
In relazione a queste cinque premesse
possiamo senz’altro rilevare che il potere di Ottone per molteplici aspetti
richiama l’impero di Carlo Magno, anche se non può vantare la stessa estensione
territoriale. Ma dall’850 era diventata necessaria la disponibilità del papa all'incoronazione
imperiale. Questo passo decisivo fu provocate dallo stesso papa Giovanni XII,
figlio di quell'Alberico, che nel 951 si era opposto alla incoronazione
imperiale di Ottone. Berengario d'Ivrea, incaricato del governo in Italia, già
nel 956 aveva intrapreso una campagna di espansione in Italia, che nel 959 era
giunta alla conquista del ducato di Spoleto e di alcune città di frontiera del
patrimonio di s. Pietro. Papa Giovanni XII, vedendo minacciato il suo stesso
potere in Roma, chiese aiuto ad Ottone, offrendogli come premio la corona imperiale.
Ottone colse l'occasione, giurò di proteggere la persona del papa ed i territori
del patrimonio di S. Pietro e alla fine dell'estate 961 scese in Italia: impose
facilmente il suo potere ed all'inizio del 962 marciò verso Roma, dove il 2
febbraio insieme con Adelaide ricevette la consacrazione e la corona imperiale:
nasceva quell’impero tedesco, che sarebbe vissuto fino al 1806.
Ottone volle suggellare I’incoronazione
concedendo il "Privilegium Octonianum” (MGH Constitutiones I, n.12, p.23 ss)
in data 13 febbraio.
Nei privilegio distinguiamo due parti:
Prima parte: Ottone
promette di difendere i possedimenti della Chiesa romana, quanto glielo consentiranno
le sue forze. In questo contesto il
privilegio passa a descrivere i territori, che dovrebbero essere inclusi sotto
la denominazione “possedimenti della Chiesa romana": praticamente viene
descritta un'area territoriale corrispondente a quella tracciata da Quierzy. Come
si spiega che Ottone abbia accolto una estensione così mostruosa dei
possedimenti della Chiesa romana?
J HALLER, Das
Papsttum. Idee und Wirklichkeit, II, Stuttgart, 21952,
208-210; 551-552, sostiene che Ottone,
inesperto dei problemi italiani, sarebbe stato ingannato dall'ambizioso
Giovanni XII. La tesi di Haller però pare definitivamente superata de uno
studio di Stengel (E.E. STENGEL, Die Entwichlung des Kaiserprivilegs für
die Römische Kirche 817 – 962 : Historische
Zeitschrift 134 (1926), 216-241). Lo Stengel mostra che in questa prima parte il privilegio
non fa altro che riprodurre fedelmente analoghi privilegi concessi dagli
imperatori carolingi in occasione della loro incoronazione. Il prime stadio sarebbe
rappresentato dal Ludovicianum, concesso da Ludovico il Pio dopo
l'incoronazione di Reims dell'816: l'ultimo stadio sarebbe rappresentato dal
privilegio concesso da Carlo il Calvo. Gli imperatori successivi non avrebbero
fatto altro che trascrivere i privilegi carolingi precedenti, quale conclusione
rituale dell’incoronazione ricevuta. Ottone non avrebbe fatto altro che riprendere
tale usanza: pertanto il privilegio nella sua globalità aveva valore di impegno
per la defensio Romanae Ecclesiae; i singoli contenuti - anche la descrizione
geografica - sarebbero del tutto irrilevanti, in quanto formulario cristallizzato
e rituale con cui doveva essere espresso l’impegno globale.
Seconda parte: anche
questa parte era divenuta tradizionale e comprendeva le disposizioni imperiali
circa l'amministrazione del patrimonio di S. Pietreo, secondo gli orientamenti
espressi dalla “Constitutio Romana" dell'824: in particolare vi si
disponeva che il papa, una volta eletto e prima di essere consacrato, doveva
prestare giuramento di fedeltà all'imperatore, quale suprema istanza di appello
per i casi di oppressione.
Questa seconda parte fu rivista e modificata
l’anno successivo in occasione di una ribellione di papa Giovanni XII contro
Ottone: l'imperatore, tornato a Roma, fece giurare al popolo romano che in
futuro non avrebbe eletto nuovi papi senza conferma o disposizione imperiale.
Un sinodo riunito in s. Pietro decise la deposizione di Giovanni XII per omicidio,
spergiuro, sacrilegio, simonia e lussuria. Divenne papa un laico, Leone VIII,
che in un sol giorno ricevette tutti gli ordini.
Non appena Ottone lasciò Roma, Giovanni XII,
forte degli appoggi della dame influenti che avevano goduto dei suoi favori,
ritornò e facilmente riuscì a fare accantonare Leone VIII, la cui elezione era
discutibile, in quanto il diritto canonico vietava che un laico fosse
immediatamente elevato alla dignità episcopale. Giovanni XII però non rimase
papa che per pochi mesi: sorpreso, mentre stava vivendo una delle sue solite
avventure galanti, fu ucciso dal marito della donna, con cui se la stava spassando.
Nel 972 Ottone I ottenne il riconoscimento del suo titolo imperiale da parte
della corte bizantina.
Sia Ottone I, che visse fino al 7 maggio 973,
sia Ottone Il, che mori a 28 anni
nel 983, sia Ottone III, che divenne imperatore a tre anni, fecero valere il
loro diritto di intervento nella
elezione papale, ma, impegnati per lo più in Germania, non furono in grado di
garantire ai loro papi un appoggio continuo: ne conseguì che frequentemente la
popolazione romana, capeggiata da Crescenzio, un figlio di Teodora junior, sorella
di Marozia, accantonava il papa imperiale e imponeva un suo candidato, con
azioni violente.
La situazione romana trovò maggiore stabilità,
quando Ottone III, divenuto maggiorenne, assunse nelle sue mani il potere
imperiale. Figlio di Ottone II e di Teofane, una principessa bizantina, Ottone III
era stato educato a nutrire una grande stima per l'antico impero romano-cristiano,
pertanto, a differenza dei suoi due predecessori, volle porre il centro del suo
potere in Roma più che in Germania. Ciò consentì ad Ottone III di occuparsi
direttamente della questione romana: nel 998 fece decapitare il capo della
opposizione romana, Crescenzio Il, nel 999 elevò alla cattedra di Pietro il suo
vecchio maestro, il grande dotto Gerberto di Aurillac, che prese il nome di Silvestro
II: Ottone, quale nuovo Costantino, con il suo papa Silvestro (il papa di
Costantino), pensava di rinnovare il grande impero romano-cristiano. Ma da una
parte la sua presenza a Roma non era gradita ai Romani e dall'altra la sua assenza
dalla Germania gli alienava le simpatie del popolo tedesco.
Nel 1001 una ribellione del popolo romano,
capeggiata sempre dalla famiglia dei Crescenzi, costrinse Ottone III e papa
Silvestro II alla fuga: Ottone non ebbe più modo di imporsi poiché improvvisamente
il 24 gennaio 1002, a soli 22 anni, fu sorpreso dalla morte.
Vorrei ora soffermarmi un attimo sull’impero
romano-tedesco: anche qui troviamo la distinzione tra dignitas, nomen e
potestas.
La base potestativa dell'imperatore tedesco é
praticamente costituita da sua base di potere come re tedesco: infatti la
incoronazione imperiale conferisce al re tedesco il diritto di portare il nomen
di imperatore, per il resto non gli rimangono che i suoi diritti regali sulla
Germania e sulla Italia: nei confronti degli altri re cristiani d'Occidente l’imperatore
tedesco non godeva di particolari prerogative giurisdizionali.
Si deve tuttavia rilevare che l’unione del
nomen imperatoris con la base realistico-territoriale del re tedesco ebbe due
conseguenze di rilievo:
+ il nomen imperateris cessò di essere un
fatto irrilevante e tornò ad essere prestigioso;
+ la potestas regale tedesca ammantata della
dignità imperiale, in connessione con la consacrazione per mano del papa, venne
ad assumere in seno alla cristianità occidentale un posto di primo piano ed un
carattere universale: solo a lei, tra le varie potestà regali, competeva la
defensio Romanae Ecclesiae.
Quanto al conferimento della corona
imperiale: abbiamo visto che lo sfaldarsi della base realistico-territoriale
dell'impero carolingio, aveva tolto all'imperatore ogni possibilità di fondare
la sua distinzione dagli altri re su ragioni di maggiore estensione e di
superiorità giurisdizionale: l’imperatore oramai poteva giustificare il suo
titolo singolare con il rimando al suo dovere-diritto di difendere la Chiesa
(aspetto ideale-ecclesiastico): dimostrazione di questo dato di fatto si ebbe
nella rinuncia alle consacrazioni laiche di Aquisgrana e nella scelta della
incoronazione da parte del papa. In tale contesto dunque il papato venne ad
acquisire il diritto esclusivo di concedere la corona imperiale.
Con la nascita dell'Impero tedesco il diritto
papale a dare la corona imperiale venne affiancato dal diritto dei re tedeschi
a ricevere la corona imperiale: la forza indiscutibile dei re tedeschi da
Ottone I ad Enrico III fece sì che essi potessero venire a Roma e ricevervi la
corona imperiale senza mai incontrare resistenze, senza mai che ci fosse
qualcuno che ardisse avanzare la più piccola
pretesa di approvazione: la superiorità dei re tedeschi
era tale che i papi non potevano pensare di concedere la corona imperiale a
qualche altro re cristiano dell’Occidente. Venne così a formarsi uno "ius
ad imperium" dei re tedeschi, con notevoli conseguenze. Il carattere
ideale-ecclesiastico dell'impero, espresso dalla incoronazione per mano del
papa (=uno é imperatore in quanto ha da difendere la Chiesa) venne così a trovarsi
in tensione con un nuovo carattere, assai realistico: il carattere tedesco
dell'impero (=uno é imperatore in quanto é re del forte regno tedesco). Inoltre,
in quanto il re tedesco disponeva di uno "ius ad imperium", anche il
popolo tedesco venne ad acquisire il carattere di popolo imperiale (= popolo
che fa l'imperatore): l'elezione del re tedesco, fatta dal popolo tedesco attraverso
i principi del regno, creava infatti il futuro imperatore; l'elezione del re
tedesco pertanto era già il primo gradino di quel processo di elevazione
imperiale, che raggiungeva il suo compimento nella incoronazione per mano del
papa.
E’ chiaro che una situazione come questa
finiva con il creare nell'ambito tedesco una tendenza a ridimensionare il
significato e il valore della incoronazione per mano del papa: essa diventava
un gesto rituale, giurisdizionalmente non determinante; un gesto che il papa “doveva”
prestare in maniera strumentale all'eletto dai tedeschi, il quale ne aveva
"diritto”: dunque il diritto papale di incoronare tendeva a trasformarsi
per i tedeschi in un dovere.
E’ tuttavia significativo rilevare che non si
giunse mai a mettere in discussione la prerogativa papale: e proprio su questa
sua prerogativa di consecrator si fonderà il papato, quando vorrà
lottare contro una interpretazione esclusivamente tedesca, e non anche
ecclesiastica, dell'impero.
10 – Riflessione
sull’Impero medievale prima della Riforma Gregoriana
Dell’impero medievale, che finora abbiamo presentato
sotto il profilo fenomenico-fattuale,
vorremmo ora operare una ripresa per così dire teoretica, al fine di coglierne
le caratteristiche strutturali. Quanto
diremo dell’impero, con le opportune limitazioni, potrà essere applicato ai
vari regni cristiani d’Occidente: in questo periodo infatti l'impero
rappresenta l’espressione più alta e più significativa del potere secolare.
A. L'Alto Medioevo non distingue adeguatamente
tra Impero, inteso come realtà politico-terrena e Chiesa, intesa come realtà
religioso-soprannaturale, anzi Impero e Chiesa universale giungono a
sovrapporsi e praticamente coincidono: non per nulla spesso il termine Ecclesia
universalis viene usato come sinonimo di Imperium Christianum.
Come si spiega che l'Alto Medioevo, diversamente da noi moderni, non
ricerchi tanto gli elementi specifici, che distinguono la società occidentale,
tutta cristiana, dalla Chiesa presente in Occidente, ma piuttosto si limiti a
considerare gli elementi di convergenza?
La spiegazione fondamentale sta nel fatto che la cultura altomedioevale non
conferisce nessuna consistenza autonoma alla realtà temporale. Per comprendere
ciò, occorre accennare alla visione cosmologica del mondo altomedievale. L'Alto
Medioevo, dato il carattere compilatorio della sua cultura, non ha elaborato
una sua propria visione cosmologica, ma ha semplicemente ripreso la visione
cosmologica della classicità, così come gli veniva trasmessa da s. Agostino, da
s. Gregorio Magno e da s. Isidoro di Siviglia. Questa visione cosmologica
faceva ricorso a due schemi culturali. Il primo schema culturale era di
suggestione stoica: concepiva il cosmo come un unico corpo universale, in cui
trovava composizione unitaria tutto il reale: in chiave cristiana ciò portava ad
una interpretazione cristologica ed ecclesiologica di tutto il reale: Cristo
ricapitola in sé tutti e tutto, dando vita ad un unico corpo, l'Ecclesia, di
cui Lui è il Capo, quale unico e supremo re e sacerdote.
Il secondo schema era di suggestione platonica: il platonismo, come si sa, cercava di superare il
dualismo tra mondo sensibile e mondo intelligibile, interpretando il mondo
sensibile come immagine del mondo intelligibile, che nel bene trova unità e
fulgore. L’antichità classica e cristiana applicarono a questa visione le
schema alto/basso, cielo/terra e pertanto pervennero alla seguente conclusione:
tra basso e alto, tra terra e cielo vi è continuità, in quanto tra loro intercorre
una relazione simbolica (secondo l'idea antica di simbolo, il sensibile, il
terrestre sarebbe la parte del simbolo, che diventa comprensibile solo quando
può essere accostata all'altra parte del simbolo). Come si vede la cosmologia
espressa dai due schemi presenta due caratteristiche, fra loro strettamente
connesse: l’unitarietà e la sacralità. Si capisce allora perché l'Alto Medio
Evo non conferisce alla realtà temporale-politica una sue consistenza autonoma,
ma la considera unicamente nella sua valenza religiosa e quindi giunge ed includerla nella Chiesa come
un suo aspetto.
B.
Dal fatte
che la realtà temporale-politica non ha una sua consistenza autonoma , ma é un aspetto della Chiesa, deriva che l’autorità imperiale o regale non è autorità profana, non si trova ad agire
su un ambito extra-ecclesiale, ma si trova ad agire all’interno della Chiesa.
C. Dal fatto che la Chiesa assorbe dentro di sé
la realtà temporale-politica deriva che la Chiesa altomodievale non é solo una
realtà trascendente-soprannaturale, ma é anche città secolare, è anche impero,
è anche la società terrena fatta totalmente di cristiani. Pertanto il fine che
presiede alla vita di tale chiesa, il conseguimento del Regno di Dio, non può
essere pensato soltanto nella prospettiva della vita soprannaturale, ma deve
anche essere applicato alla vita temporale-politica: abbiamo pertanto una
Chiesa che mira alla realizzazione del regno di Dio non solo in senso
escatologico, ma anche in senso temporale. Da ciò deriva che il potere
imperiale o regale , in quanto potere intra-ecclesiale, deve agire secondo il
fine ecclesiale, deve agire cioè in vista del Regno di Dio: in tal modo si
avvicina al potere dei sacerdoti, che pure è potere intra-ecclesiale
(ovviamente) e pure agisce secondo la finalità ecclesiale: da qui la
consacrazione degli imperatori e dei re, simile a quella dei vescovi; da qui
l'uso di espressioni come "rex et
sacerdos ", “episcopus episcoporum", " gratia Dei rex"; da
qui l’azione degli imperatori e dei re per la defensio o per l'espansione della
Chiesa. Ma dal fatto che la Chiesa altomedievale persegue una finalità non solo
soprannaturale, trascendente, ma anche temperale deriva che pure il potere dei
sacerdoti, dovendo fare proprio il fine ecclesiale, finisce con l’avvicinarsi
al potere dei re e degli imperatori: da qui l’inclusione tranquilla nella
realtà feudale, da qui la partecipazione di papa Leone III alla nascita
dell’impero medievale, da qui l'azione di Giovanni VIII per la scelta dei nuovi
imperatori, Carlo il Calvo e Carlo il Grosso.
D. A questo punto si impone il problema dei due
poteri. Come abbiamo visto, non si dà distinzione a livello di ambiti: non si
può parlare di un potere sacro, che presiede all’ambito sacrale e di un potere
secolare-profano, che presiede all’ambito secolare-profano: non c’è che un
unico ambito onnicomprensivo: la Chiesa. Come abbiamo visto, neppure si dà
distinzione a livello di finalità: ambedue i poteri agiscono direttamente per
la realizzazione del regno ai Dio sia in senso escatologico sia in senso
temporale. Neppure si dà distinzione quanto ad origine: sia il potere
sacerdotale e sia il potere imperiale o regale hanno la loro fonte in Cristo,
re e sacerdote: Lui é il vero dominatore, il principio universale di salvezza,
il capo della nuova umanità: e Cristo dirige il suo unico corpo nella persona
sacerdotale e nella persona regale: si ricordino i mosaici del triclinium del
palazzo lateranense! Da questo fatto deriva che sia il potere sacerdotale, sia
il potere regale/imperiale svolgono nella Chiesa una funzione ministeriale: non
sono degli assoluti, non possono agire arbitrariamente, tutto il loro valore
sta nell'essere riproduzione della volontà di Cristo e perdono valore, quando
cessano di essere ministri di
Cristo. Per tale via si raggiunge una concezione essenzialmente morale e
religiosa del potere regale/imperiale.
Si dà distinzione solo a livello funzionale: al servizio dell'unico fine
ecclesiale, potere sacerdotale da una parte e potere regale/imperiale dall’altra
si trovano dotati di due ordini di mezzi distinti: il sacerdote si serve della Parola
per distogliere dal male, per perdonare i peccati, per spingere verso il bene;
il re si serve della spada per piegare i renitenti e per punirli, se ne é il
caso: abbiamo qui la ripresa di un tema paolino: "Temi l'autorità, se fai
il male, infatti essa non porta invano la spada: é uno strumento di Dio per
fare giustizia e per castigare chi opera il male" (Rm 13,4): questo tema
paolino nell’Alto Medio Evo trovava una sottolineatura efficace negli scritti
di s. Gregorio Magno.
E.
E’ chiaro
che i due poteri, in quanto funzionanti all'interno dell'unica Ecclesia
universalis, in vista di un medesimo fine, vennero a trovarsi in relazione fra
loro. Che tipo di relazione venne a stabilirsi? Fu una collaborazione di due
poteri distinti? Oppure si ebbe la subordinazione di un potere all'altro? Per
rispondere occorre prima di tutto considerare come di fatto si é posta la
relazione tra i due poteri. Nel periodo, da noi considerato, possiamo
distinguere tre momenti:
+
primo
momento: comprende gli anni di governo di Carlo Magno ed il primo periodo del governo di Ludovico il Pio
(cioè fino all’822). Abbiamo un esercizio del potere regale secondo modalità
teocratiche: il modello è offerto dall’Antico Testamento [si noti che parlo delle modalità di esercizio e dico
che sono teocratiche, ma ancora non giungo ad affermare che a tali modalità si
sia pervenuti per una soggiacente mentalità teocratica o per contingenti
ragioni storiche o per le due motivazioni insieme. Su ciò diremo più avanti]. Carlo e Ludovico all'interno dell'Ecclesia e
in vista dell'unico fine ecclesiale esercitano un vero primato di conduzione,
che si spinge anche sul terreno dogmatico (questione adozianista, questione
iconoclastica) e sul terreno della costituzione ecclesiastica (partecipazione
di Carlo e di Ludovico all'assegnazione degli uffici ecclesiastici, alla
creazione di province ecclesiastiche e diocesi; provvedimenti di carattere
ecclesiastico presi nei concili di Aquisgrana). Inoltre Carlo e Ludovico si
servono di ecclesiastici alla loro corte; inviano ecclesiastici nell’impero
come missi regii, affidano incarichi amministrativi e giudiziari a vescovi,
legandoli all'apparato carolingio.
Questo primato di conduzione trova anche
interessanti affermazioni scritte. Una lettera di Carlo, indirizzata al neo-eletto
Leone III, così si esprime:
"A noi, secondo l'aiuto della divina
pietà spetta di difendere dappertutto la santa Chiesa: all'esterno, contro le
incursioni dei pagani e contro le devastazioni degli infedeli, usando le armi;
all'interno favorendo la conoscenza della fede cattolica. A voi, o santissimo
padre, spetta di elevare insieme con Mosè le vostre mani a Dio per aiutare i
soldati, così che per la vostra intercessione e sotto la guida e per
elargizione di Dio il popolo cristiano abbia dappertutto vittoria sopra i
nemici del santo nome del Signore..." (MGH Epistolae IV, 137-138).
Il papa sembra ridotto al ruolo rituale della
preghiera e Carlo invece sembrerebbe detenere il governo effettivo della Chiesa.
Il sacerdote Cathulfo, verso il 775, scriveva
a Carlo Magno:
“Ricordati sempre che tu fai le veci di Dio
Padre… Il vescovo invece é al secondo posto, fa soltanto le veci di Cristo”
(MGH Epostolae IV, 503).
Si ricordi infine la
lettera di Alcuino circa lo stato di decadimento in cui si trovano le due
grandi autorità del mondo (papato e impero bizantino) circa il ruolo singolare,
che in tale frangente é riservato a Carlo.
+
secondo momento: rappresentato dal periodo della decadenza carolingia, periodo
che si apre con la seconda fase del governo di Ludovico il Pio. In questo
secondo momento si assiste ad un'ascesa del potere sacerdotale ad un primato di
conduzione: abbiamo certe iniziative, per esempio del papa, dove si riscontrano
modalità di esercizio di carattere ierecratico [anche in questo caso vale l’osservazione precedente circa il carattere
teocratico]. Papa Niccolò I (858-867) a Lotario II, figlio dell'imperatore
Lotario, impose di attenersi alle disposizioni pontificie nella questione del
suo divorzio e lo costrinse a
rinunciare alla nuova sposa. Giovanni VIII (872-882) giunse addirittura a comportarsi
come principale dispensatore dell'impero.
+
terzo
momento: siamo all'impero ottoniano. Gli imperatori tedeschi spengono
praticamente il papato: impongono i loro candidati, depongono i papi eletti
dall'opposizione romana. Nella politica di feudalizzazione condotta dai sovrani
tedeschi sono coinvolti non solo i duchi ma anche e soprattutto i vescovi e gli
abati, che insieme con l'ufficio ecclesiastico ricevono dal re ampi benefici:
l'attribuzione di benefici agli ecclesiastici ebbe un notevole sviluppo in
quanto in tale modo il re poteva arginare la tendenza dei vassalli laici a trasformare
il feudo in un fatto ereditario: gli ecclesiastici, per via del celibato, non
potevano certo avanzare pretese ereditarie!
Questi i fatti: si tratta ora di tentarne una
valutazione!
Si deve forse ritenere che ci troviamo di
fronte a due ideologie monistiche: da una parte l'ideologia ierocratica del
papato, dall'altra l'ideologia teocratica dei sovrani? Il primato di conduzione
esercitato dagli imperatori va forse inteso come volontà di subordinare il
potere sacerdotale a quello regale? E viceversa,
il primato di conduzione esercitato dal potere sacerdotale nel secondo periodo,
va forse inteso come volontà di subordinare il potere regale a quello
sacerdotale? Riterrei di no.
La distinzione delle due funzioni è sempre rimasta
chiara. Alla base di quelli, che ci appaiono come sconfinamenti, non dobbiamo
collocare un'ideologia monistica, ma semplicemente la necessità storica:
dovendo i due poteri agire all'interno dell'unica Chiesa ed in vista del
medesimo fine, in circostanze particolari si sentirono in dovere di supplire
alle debolezze e alle carenze dell'altro potere. Di fatto a prevalere fu
soprattutto il potere regale: ma tale prevalenza si fondava sulla
"forza" della base realistico-territoriale, che veniva usata a servizio
della Ecclesia.
Del resto in quel tempo di barbarie e di
incerto inizio di un nuovo assetto socio-politico solo il pugno di ferro poteva
dominare la situazione. L’attimo di prevalenza del potere sacerdotale coincide
con la frantumazione della base realistico-territoriale del potere regale e con
la fase dell’anarchia particolaristica.
Pertanto non si può parlare di una teocrazia
regale vera e propria: il sacerdozio non divenne mai "instrumentum
regni", ma, accanto al regno, fu una funziono dell'unica Ecclesia, sia
pure secondo un ruolo meno rilevante. D’altra parte non ha senso considerare la
dedizione del regno al fine della Ecclesia come una ierocrazia: il regno non
venne asservito al sacerdozio, ma, insieme con il sacerdozio si trovò ad essere
funzione, che agiva in ordine ad un fine, che accomunava potere sacerdotale e
potere regaIe in un ruolo ministeriale: il servizio dell’Ecclesia.
Dunque si dovrebbe tacciare di semplicismo ogni interpretazione radicalmente
monistica.
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