sabato 24 febbraio 2024

 

LA POLITICA DEGLI IMPERATORI NEI CONFRONTI DEL PAGANESIMO

NEL IV SECOLO

 

Prima di considerare in maniera dettagliata l’azione politica dei vari imperatori è senz’altro opportuno richiamare quale peso abbia assunto il potere imperiale nella conduzione politica dell’Impero.

Verso la fine del II secolo, come dicemmo, l’Impero si trovò costretto a fare ricorso a una politica di militarizzazione per far fronte alla difesa dei confini, minacciati dai barbari e dai Persiani. Ne conseguì che accanto alla consueta diarchia di aristocrazia senatoria e potere imperiale si impose una terza forza, l’esercito, compromettendo l’equilibrio del consueto sistema di governo.

Buona parte del III secolo fu dominata dal caos delle migrazioni e dell’anarchia: in questo contesto il potere imperiale prevalse per via di una trasformazione del suo carattere originario: tramontò  definitivamente l’ideale dell’imperatore princeps e si impose l’ideale dell’imperatore dominus. Ciò si compì prima di tutto grazie all’allontanamento dell’aristocrazia senatoria dalla leve del potere militare e politico: artefici di ciò furono soprattutto gli imperatori Gallieno e Diocleziano.

In secondo luogo il potere imperiale si garantì l’appoggio dell’esercito, sia concedendo agevolazioni ai militari, sia aprendo la carriera militare anche ai gradi inferiori.

In terzo luogo il potere imperiale si consolidò, creandosi un nuovo e potente appoggio: dette vita infatti ad un enorme apparato burocratico centralizzato, al quale affidò l’amministrazione dello Stato.

Questa singolare posizione di potere raggiunta dall’imperatore trovò poi una solida fondazione teorica: la classica lex regia di Ulpiano, secondo la quale il popolo romano quale primario e fondamentale possessore del potere imperiale lo delegherebbe al princeps, fu soppiantata da una nuova teoria, che faceva invece derivare il potere imperiale dall’alto, dalla divinità.

Questa mistica imperiale trovò uno sviluppo particolare sotto Diocleziano (284-305), che, poiché si riteneva legato a Giove in maniera singolare, si proponeva come imperatore, che per ispirazione divina era  dotato di qualità sovrumane, quali la clemenza, la giustizia, la pietas, la filantropia. Diocleziano poi a questa mistica imperiale dette un’altisonante espressione esteriore, dando vita ad uno sfarzoso cerimoniale di corte.

Ovviamente  in questa prospettiva l’atteggiamento dei sudditi verso il sovrano venne a rivestire un carattere religioso, si configurò come devotio. Da parte sua il dominus ricambiò questa devotio, assumendo nei  confronti dei sudditi l’atteggiamento della generosità. Come si vede, tra dominus e sudditi, si instaurò una sorta di scambio, che non era tanto di diritto pubblico, ma era piuttosto di ordine morale.

Con la cristianizzazione dell’Impero si mantenne questa concezione sacrale della funzione imperiale, a proposito della quale va rilevato che da un lato codificava un esercizio assolutistico e personalistico del potere imperiale e dall’altro però impediva che se ne desse una interpretazione arbitraria, dal momento che il potere imperiale doveva tenere conto dell’esigenza di rispettare quell’ordine divino, dal quale appunto traeva la sua origine, la sua forza e il suo valore.

A questo punto diventa possibile comprendere la notevole incidenza della politica religiosa degli imperatori.

In generale si può dire che nel corso del IV secolo fino al 408 lo Stato cristiano praticò un reale liberalismo nei confronti delle persone: in certi anni accadeva che quasi tutte le leve del comando fossero nelle mani di alti funzionari pagani, ad esempio nel 384.

Costantino: per valutare rettamente la sua politica religiosa occorre accedere alle fonti letterarie con molta prudenza. Quelle cristiane, a partire da quelle di Eusebio di Cesarea, seguito poi da quelle di Giovanni Crisostomo, di Prudenzio, di Orosio, di Socrate, tendono evidentemente a esagerare l’antipaganesimo ed  il filo-cristianesimo di Costantino. Se ad esse si accosta la produzione letteraria pagana per via diversa e contraria si giunge allo stesso risultato: in nome del risentimento gli autori pagani attribuirono alla svolta costantiniana una radicalità anti-pagana e filo-cristiana.

Prima di tutto invece va messo in evidenza che per Costantino il riconoscimento della legalità del cristianesimo non comportò affatto la proscrizione legale del paganesimo. Costantino, infatti, mantenne il titolo di Pontifex Maximus; alla fondazione di Costantinopoli fece praticare anche i tradizionali riti pagani; in Costantinopoli non solo lasciò sussistere i templi pagani esistenti, ma anche ne fece costruire di nuovi: pertanto non ha fondamento la tesi che vuole che la fondazione di Costantinopoli, quale nuova Roma cristiana,  fu voluta in contrapposizione alla vecchia Roma pagana.

Anche i vari provvedimenti contro l’aruspicina privata, contro il tempio di Afrodite a Ierapoli e contro il tempio di Esculapio ad Ege (Cilicia), non mirarono affatto a distruggere il paganesimo, mirarono invece a purificarlo sia dai disordini morali sia dalla superstitio, che è degenerazione della vera religio.

A proposito dell’avversione del potere imperiale nei confronti della pratiche pagane private e dell’aruspicina  va detto che non era dettata dal fatto che vi si vedeva un’alternativa al culto ufficiale, ma piuttosto dal fatto che il potere imperiale attribuiva un vero potere malefico alle pratiche magiche e pertanto temeva che in tali riunioni segrete private  si congiurasse contro l’autorità costituita, sia preannunciandone o decretandone la fine, sia additando il probabile successore.

Tanti favori che Costantino concesse al Cristianesimo furono dettati da preoccupazioni di tipo giuridico. Le restituzioni miravano a eliminare le precedenti lesioni del diritto. L’affermazione della parità giuridica del cristianesimo rispetto alle altre religioni doveva poi trovare applicazione concreta: da qui l’abolizione delle leggi romane contrarie al cristianesimo: ad es. la proibizione del celibato; da qui l’introduzione di leggi miranti ad assicurare uno spazio effettivo ai cristiani nella vita sociale: ad es. la domenica viene posta alla pari delle festività pagane; anche alle chiese cristiane viene riconosciuto il diritto di ricevere donazioni e lasciti; all’edilizia cristiana vengono concesse agevolazioni imperiali come avveniva per l’edilizia pagana.

Certamente però non si può negare che Costantino, intensificandosi sempre più la sua adesione alla fede cristiana, abbia riservato al cristianesimo un trattamento di predilezione: penso ad esempio al provvedimento che concedeva ai cristiani la facoltà di ricorrere per cause civili ai tribunali episcopali invece che ai tribunali civili; penso anche ai ripetuti interventi nelle controversie ariana e donatista.

Ma si trattò sempre di una predilezione che non comportò affatto una riduzione o un misconoscimento della legittimità del paganesimo. Sul piano della liceità giuridica le due religioni godettero di una situazione di parità.

In questa prospettiva di parità giuridica è senz’altro significativo che Costantino non volle mai sostenere l’attività missionaria cristiana, esercitando sulle coscienze pressioni di tipo militare o politico: pur desiderando che nell’Impero si instaurasse l’unità religiosa, Costantino non forzò mai i tempi, preferì sempre rispettare la libertà delle coscienze e confidare nella forza attrattiva del messaggio cristiano.

I figli di Costantino: nel 337, alla morte di Costantino, dopo alcuni mesi di incertezza, assunsero il titolo imperiale i suoi tre figli.

Costantino II ebbe potere sulla Prefettura Occidentale, che comprendeva Britannia, Gallia Viennese, Spagna, Mauretania Tingitana e stabilì la sua residenza imperiale a Treviri.

Costante, il figlio minore, fu posto a governare sulla Prefettura Centrale, che comprendeva Africa, Italia Settentrionale, Italia Annonaria, Pannonia, Dacia, Macedonia. La residenza imperiale fu situata a Sirmio.

Nel 340 Costante ebbe la meglio sul fratello Costantino II, annettendo al suo potere anche la Prefettura Occidentale e trasferendo la sede imperiale a Milano.

Costanzo, infine, governò sulla Prefettura Orientale, che comprendeva Tracia, Asia, Ponto, Oriente. Antiochia fu la residenza imperiale prevalente.

A partire dal 350 Costanzo rimase unico imperatore, essendo morto il fratello Costante.

Nei tre nuovi imperatori, educati cristianamente, si attenuò notevolmente l’atteggiamento di moderazione e di tolleranza religiosa, che aveva contraddistinto la politica paterna. Infatti cominciarono ad apparire le prime misure antipagane, che manifestavano la volontà imperiale di eliminare il paganesimo dalla vita pubblica per favorire, anche con l’appoggio del potere statale, la cristianizzazione dell’Impero. In genere a dimostrazione di ciò si adduce una legge del 341, dove compare questa affermazione: “Cesset superstitio, sacrificiorum aboletur insania” (Cod. Theod. XVI,X,2).

In realtà nell’interpretazione di questo passo la storiografia è tutt’altro che unanime, in quanto nel linguaggio del IV secolo il termine “superstitio” era suscettibile di diversi significati. I pagani lo usavano per indicare le deviazioni della vera religio, cioè le divinazioni, i sacrifici occulti. I cristiani, invece, applicavano la qualifica di “superstitio” al paganesimo in blocco, perché sarebbe una ficta religio. Come interpretare allora la legge del 341? Alcuni, come F. MATROYE, La répression de la magie et le culte des gentils au IVe siècle : Revue Historique de Droit Français et Étranger  IX (1939), 669 ss e R. RÉMONDON, La crisi dell'Impero romano. Da Marco Aurelio ad Anastasio, Milano 1975, p.128, ritengono che “superstitio” sia stato usato nel senso pagano e pertanto la legge avrebbe di mira le pratiche di divinazione, i sacrifici occulti e quindi la legge del 341 sarebbe perfettamente in linea con la legislazione precedente di Costantino. Ciò sarebbe confermato dalla legislazione successiva di Costanzo, dove comparivano minacce contro coloro che praticavano la magia, i sacrifici notturni, contro gli auguri, gli indovini, gli stregoni ed i loro clienti (23 novembre 353; 25 gennaio 357; luglio 357). Simmaco nella sua Relatio III confermerebbe questa interpretazione, laddove afferma a proposito di Costanzo: “Non tolse nulla ai privilegi delle vergini consacrate. Assunse molti nobili alle funzioni sacerdotali; non rifiutò alcun credito alle cerimonie romane. Durante la visita a Roma (357) Costanzo guardò i templi non senza commozione, ne ammirò l’architettura. Sebbene personalmente seguisse un’altra religione, consentì quella pagana all’Impero” (6-7).

Altri come J. GEFFCKEN, Der Ausgang des griechisch-römischen Heidentums, Heidelberg 1920, p.97 e P. DE LABRIOLLE, Cristianesimo e paganesimo alla metà del IV secolo : Storia della Chiesa  III/1 (Fliche, Martin) Torino 1972, pp 224-225 ritengono che il termine “superstitio” fu usato secondo l’accezione cristiana, per cui la legge avrebbe comportato la proibizione in blocco del paganesimo. Ciò troverebbe conferma in provvedimenti successivi, quali la legge dell'1 dicembre 356, che così si esprimeva: “È nostro volere che in ogni luogo ed in ogni città i templi siano immediatamente chiusi, ne sia interdetto l’accesso a chiunque  e negata ai depravati la facoltà di predicarvi. Noi vogliamo pure che tutti si astengano dai sacrifici. Chiunque avrà commesso una colpa di questo genere sia colpito dalla spada vendicatrice. Il fisco rivendicherà i beni del defunto. I governatori delle province, che trascureranno di punire questi delitti subiranno gli stessi castighi”. Il retore Libanio in una sua opera ci dà testimonianza a favore di questa interpretazione: “Spiegati dunque: che intendi con questa spaventosa tempesta? Intendo alludere al tempo di Costanzo. Il male era venuto da suo padre; ma egli ne propagò la scintilla, l’attizzò, ne suscitò un vasto incendio. Suo padre aveva spogliato gli dei delle loro ricchezze, egli atterrò i templi, abolì tutti i sacri riti…” (oratio 30 – πρός τούς είς τήν παιδείαν αυτϖν αποσϰώψαντας, § 8).

Propongo di non usare le due interpretazioni, contrapponendole, ma accostandole: la politica religiosa dei successori immediati di Costantino si caratterizzerebbe per una progressiva radicalizzazione dell’antipaganesimo: la legge del 341 interpretata come proibizione della magia e dei sacrifici occulti rappresenterebbe il terminus a quo, la legge del 356 invece sarebbe il terminus ad quem e si situerebbe nel tempo in cui il potere è tutto e solo nelle mani di Costanzo, che certamente dei tre fratelli era il meno moderato in materia religiosa. Questa progressiva radicalizzazione antipagana spiegherebbe i saccheggi, le distruzioni perpetrati da esponenti cristiani contro templi pagani: le fonti storiche però ci testimoniano solo 4 casi e tutti ambientati nella parte orientale dell’Impero. Questo dato può portarci a comprendere che la progressiva radicalizzazione operata a livello legislativo non trovò molto seguito a livello pratico. Le sanzioni previste per i governatori inadempienti dalla legge del 356 ne sono una testimonianza eloquente.

Soprattutto in Occidente prevalse la linea della moderazione, perché bisognava tenere conto sia della posizione ancora maggioritaria del paganesimo, sia della fede pagana dell’aristocrazia senatoria, che rappresentava pur sempre una forza non trascurabile. Ciò spiegherebbe la testimonianza di Simmaco e l’atteggiamento tenuto da Costanzo in occasione del suo soggiorno romano del 357.

Alla luce di questa progressiva radicalizzazione antipagana la reazione di Giuliano acquista maggiore chiarezza.

Il ventennio successivo alla breve stagione di Giuliano vede imperatori cristiani propensi a praticare una politica di grande tolleranza nei confronti del paganesimo ufficiale e di avversione nei confronti delle deviazioni superstiziose. Così Gioviano che governò solo 8 mesi (dal 27 giugno 363 al 17 febbraio 364), così Valentiniano I, che governò l’Occidente dal 364 al 375, così Valente, fratello di Valentiniano I, che governò l’Oriente dal 364 al 378.

Con Graziano, che prese nelle sue mani il potere in Occidente dopo la morte di Valentiniano I, finì del tutto la politica della pari legittimità. A partire dal 379, infatti, sotto l’influenza di Ambrogio, Graziano promosse una decisa politica di sganciamento dello Stato dal paganesimo. Lo provano 3 provvedimenti:

1.      379: Graziano decise di non portare più il titolo di Pontifex Maximus;

2.   382: Graziano ordinò che in Senato venisse rimossa l’ara sacrificale, che stava davanti alla statua della Vittoria;

3.     Sempre nel 382: Graziano privò il culto pagano, i templi, i sacerdoti, le vestali sia dei privilegi fiscali e giuridici sia dei sussidi statali.

Secondo la nostra mentalità moderna, potremmo vedere in Graziano l’intenzione di costruire una pace religiosa fondata sulla aconfessionalità dello Stato: così interpreteremmo la rinuncia dell’imperatore ad attribuirsi prerogative di natura religiosa, così interpreteremmo la decisione di abolire pratiche cultuali in Senato, essendo il Senato un organo politico dello Stato; lo Stato in quanto aconfessionale quindi non sosterrebbe più il culto pagano come di fatto non sostiene il culto cristiano. In verità si tratta di una interpretazione anacronistica. Graziano non intese limitarsi a interdire il culto pagano per porre fino al paganesimo di Stato, perché Graziano a mano a mano che allontanava lo Stato dal paganesimo lo avvicinava al cristianesimo, lo cristianizzava: a livello fiscale il clero fruì di esenzioni, a livello giudiziario i vescovi continuarono a godere di una vera e propria giurisdizione anche civile, sempre a livello giudiziario si tollerò il diritto di asilo da parte dei vescovi e si rinsaldò sempre più il privilegium fori per il clero. Ma più significativo ancora fu il provvedimento del 378, in cui Graziano si adeguò ad una decisione del Sinodo romano di quello stesso anno: vi si stabilì che nelle questioni inerenti il privilegium fori e nelle questioni interne della giustizia ecclesiastica gli unici tribunali competenti erano il tribunale episcopale in prima istanza e poi il concilio diocesano, e poi ancora il concilio provinciale e alla fine la Sede Romana come suprema istanza di appello. Si aggiunse poi che lo Stato aveva il dovere di rendere esecutoria la sentenza del competente tribunale ecclesiastico. Come si vede, quindi, Graziano accettò di assumere il ruolo di braccio secolare della Chiesa.

Nel gennaio 379 in Oriente fu proclamato imperatore Teodosio, che dal 392 al 395 poi rimase unico imperatore.

Nella politica religiosa di Teodosio possiamo distinguere due momenti.

Il primo momento si concluse verso il 390 e vide un Teodosio impegnato in una politica religiosa legata alla prospettiva orientale. Chiaro segno di ciò è l’editto “Cunctos populos” emanato a Tessalonica il 27 febbraio 380, insieme con gli altri due imperatori Graziano e Valentiniano II: “Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio perseverino nella religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all''insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Coloro che seguono questa norma verranno chiamati Cristiani cattolici, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste” (Cod. Just. I,1). La sede di emanazione dell’editto, Tessalonica, dice che il peso di Teodosio fu preponderante e che gli altri due imperatori giocarono un ruolo di secondo piano, perciò consideriamo l’editto espressione della prospettiva orientale.

Questo editto è stato variamente valutato: alcuni vi hanno visto una professione di fede personale e privata dell’imperatore Teodosio; altri invece ritengono che si tratti di un manifesto, di un proclama politico. A mio avviso questa seconda posizione è la più attendibile: si deve infatti rilevare che l’editto è stato introdotto sia nel Codex Theodosianus sia nel Codex Iustinianus come documento imperiale di rilevanza giuridica; va inoltre rilevato che il legislatore commina sanzioni per le infrazioni, dandogli quindi un carattere che andava ben oltre la sfera della sua propria fede privata.

Ma passiamo a considerare la politica religiosa, che vi viene espressa.

L’editto “Cunctos populos” va letto nel contesto orientale, dove il cristianesimo era diventato presenza massiccia e di gran lunga maggioritaria. Teodosio volle stabilire con il Cristianesimo un rapporto non solo preferenziale ma addirittura esclusivo. Nacque così la Chiesa di Stato, nella quale dobbiamo scorgere due aspetti.

1.    L’aspetto dell’appoggio reciproco: il Cristianesimo appoggia l’Impero e a sua volta l’Impero appoggia il Cristianesimo. Si noti però che il Cristianesimo in quel momento era diviso in varie sette, che erano in lotta tra loro e quindi non era in grado di offrire allo Stato un appoggio consistente. Per offrire allo Stato una appoggio significativo il Cristianesimo aveva bisogno di trovare unità. Per questa ragione lo Stato decise di dare al Cristianesimo un appoggio, che ne favorisse l’unificazione, aiutandolo a uscire dalle sue dilacerazioni interne, che lo indebolivano. Era condizione necessaria perché il Cristianesimo potesse svolgere un ruolo positivo nello Stato.

2.  L’aspetto dell’intervento del potere imperiale nella vita del Cristianesimo: il Cristianesimo orientale diviso aveva offerto spazio al potere imperiale cristiano per intervenire in funzione di arbitrato. Venne così a formarsi una prassi abituale e indiscutibile di interventi imperiali nella vita della Chiesa. “Cunctos populos” fu appunto l’intervento imperiale che decise tra le varie tendenze, optando per quella cattolico-romana. Conseguentemente il potere imperiale impegnò tutta la sua forza per fare prevalere la posizione cattolico-romana e per fare scomparire le tendenze ariane. L’intervento di Teodosio non si pose su un piano magisteriale, perché non pretese di essere lui a decidere i contenuti della fede cristiana, ma indicò i riferimenti magisteriali ai quali bisognava fare riferimento: san Pietro, Damaso, vescovo di Roma e Pietro, patriarca di Alessandria.

Certamente in prospettiva Teodosio auspicava che il paganesimo addivenisse ad una adesione al cristianesimo cattolico, ma la sua preoccupazione prima fu rivolta al costituirsi di una comunità cristiana solida, sicura e perciò portata ad assumere nei confronti del paganesimo oramai minoritario e insignificante un atteggiamento non più aggressivo ma irenico. Un cristianesimo aggressivo avrebbe comportato turbamento di una vita sociale pacifica. Pertanto fino al 390 Teodosio espresse una politica all’insegna della tolleranza nei confronti del paganesimo.

Il secondo momento: a  partire dal 390 l’atteggiamento di Teodosio subì un cambiamento sostanziale, facilmente comprensibile. Per esigenze politiche dal 388 al 392 Teodosio si trasferì nella parte Occidentale, portandovi sia la sua mentalità orientale di ingerenza ecclesiale sia il suo atteggiamento orientale di irenismo verso un paganesimo oramai in via di estinzione.

Per Teodosio l’impatto con la cristianità occidentale non fu facile, proprio perché qui era maturata una concezione diversa. Poiché in Occidente per buona parte del IV secolo il cristianesimo fu presenza minoritaria, il potere imperiale fino a Graziano non aveva qui sentito la propensione di appoggiarsi alla Chiesa. Si era pertanto sviluppata una mentalità di indipendenza della Chiesa da ingerenze imperiali. Questa indipendenza comportava da un lato la non subordinazione del potere spirituale dei vescovi all’autorità temporale in cose spirituali e dall’altro la subordinazione del potere temporale ai vescovi in questioni spirituali (si ricordi la lettera 17 di sant’Ambrogio a Valentiniano II a proposito della relatio di Simmaco). Teodosio nel 390, dopo l’eccidio di Tessalonica, dovette fare i conti con questa mentalità e sottomettersi per ingiunzione di Ambrogio alla penitenza pubblica.

Dal momento che la questione del paganesimo era questione religiosa, Teodosio in Occidente si trovò costretto a regolarsi secondo le prospettive e le direttive dei vescovi occidentali, soprattutto di sant’Ambrogio.

In Occidente il Cristianesimo, che per buona parte del IV secolo era stato minoritario rispetto al paganesimo e solo ora nello scorcio finale del IV secolo si trovava a vivere una stagione di grande sviluppo, aveva maturato nei confronti del paganesimo un atteggiamento di contrasto, di lotta: il cristianesimo era il grande nemico da debellare.

Da qui la svolta nella politica religiosa di Teodosio:

·          24 febbraio 391: proibizione di ogni cerimonia pagana nella città di Roma (basta sacrifici, basta visite ai templi, basta omaggi agli idoli):

·        16 giugno 391: estensione della stessa disposizione all’Egitto:

·     8 novembre 392: emanazione di un editto che vieta in tutto l’Impero di offrire sacrifici, di onorare i lari con il fuoco, i geni con libagioni, i penati con l’incenso.

Quindi dalla pari legittimità voluta da Costantino si giunse alla soppressione legale del paganesimo e all’assunzione del Cristianesimo cattolico come religione di Stato.

 

 

 

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