sabato 24 febbraio 2024

 

IV secolo: la grande diffusione del cristianesimo all’interno dell’Impero

 

·         Descrizione del fenomeno

·         Spiegazione del fenomeno

 

1 – descrizione del fenomeno

Tutti gli storici sono concordi nell’affermare che nel corso del IV secolo il cristianesimo ha compiuto un notevole balzo in avanti nella sua azione di conquista dell’Impero Romano. Le difficoltà e le divergenze nascono, quando si tenta di dare a quanto prima affermato un contenuto più preciso in termini numerici e statistici: la cosa non deve sorprendere, perché si sa che l’Antichità non solo non conosceva la scienza della statistica, ma addirittura si serviva dei numeri o in maniera enfatica o in maniera allegorica.

Tuttavia gli storici abbastanza concordemente osano proporre una valutazione di tipo proporzionale: i cristiani all’inizio del IV secolo avrebbero rappresentato la decima parte della popolazione dell’Impero e alla fine dello stesso secolo invece la maggioranza sarebbe stata cristiana.

Alcuni storici poi ritengono di potersi spingere più oltre, trasformando la proporzione in dati numerici:

L. v. HERTLING, Der Zahl der Christen zu Beginn des 4. Jahrhunderts: Zeischrift für katholische Theologie 58(1934), pp 243-253: ritiene che i cristiani all’inizio del IV secolo fossero 6 milioni, mentre alle fine del secolo sarebbero diventati 25 milioni.

 

J. GAUDEMET, L’eglise dans l’empire romain (IV et V siècles (= Histoire du Droit et des Institutions de l’Église en Occident 3), Paris 1958, p. 88: traduce l’1/10 in 17 milioni, però in questo modo la popolazione dell’Impero salirebbe ad un numero inaccettabile.

Ma è più utile considerare la diffusione geografica del cristianesimo all’inizio del IV secolo e poi alla fine dello stesso secolo.

Inizio del IV secolo: mi riferisco fondamentalmente a A. v. HARNACK, Mission und Ausbreitung des Christentums in den  ersten drei Jahrhunderten, Leipzig 21906, pp 70-262:

-          Si contano circa 1500 sedi episcopali, di cui 800-900 nella parte orientale, mentre 600-700 nella parte occidentale;

-    abbiamo delle aree in cui i cristiani rappresentano circa la metà della popolazione: Asia Minore, Armenia, Macedonia, Edessa, isola di Cipro, sud della Tracia (tra Salonnico e Bisanzio);

-   in altre province i cristiani, pur non costituendo il 50 % degli abitanti, sono un gruppo numericamente consistente e socialmente influente: Alessandria con l’Egitto e la Tebaide, Roma con l’Italia meridionale, l’Africa proconsolare e la Numidia, le regioni meridionali della Spagna, la Gallia meridionale, Antiochia con la Siria;

-        ci sono poi province meno segnate dalla presenza cristiana: Macedonia, Acaia, Tessalia, Italia centrale e settentrionale, Mauritania, Palestina, Spagna centro-settentrionale.

-    Ci sono infine province, in cui i cristiani erano presenti in numero molto esiguo: Gallia centrale e settentrionale, Britannia, in genere le regioni montuose.

In generale si può rilevare che l’Occidente appare meno cristianizzato dell’Oriente: mi pare che una soddisfacente spiegazione di questa discrepanza sia offerta da A.H.M. JONES, Lo sfondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo: Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, a cura di A. Momigliano, Torino 1975, 23-24. Jones fa rilevare che il cristianesimo, nascendo in Oriente, si trova strettamente legato al mondo orientale: si tratta di un legame culturale, che si esprime anche a livello linguistico: il cristianesimo degli inizi scrive e parla in greco e ciò evidentemente perché si rivolge prima di tutto a gente dell’area culturale ellenistica. Da ciò consegue prima di tutto che l’Oriente ha rappresentato l’area primaria e privilegiata della primitiva diffusione cristiana. Da ciò consegue in secondo luogo che l’Occidente è stato raggiunto dall’evangelizzazione soprattutto in quanto vi risiedevano comunità ellenistiche e tra queste colonie il cristianesimo occidentale reclutò probabilmente gran parte dei suoi adepti (è significativo che la chiesa romana usi il greco fono al III secolo; è pure significativo che la lettera, con cui i cristiani di Vienne e di Lione raccontano la persecuzione del 177 sia indirizzata ai fratelli d’Asia e di Frigia; è significativo che verso la fine del II secolo ad Autun vi sia una comunità cristiana di lingua greca e che di lì a poco la scomparsa dell’elemento greco significhi anche la scomparsa della comunità cristiana).

Il cristianesimo si trova legato al mondo orientale non solo  a livello culturale ma anche a livello sociale: in un Oriente fortemente urbanizzato il cristianesimo primitivo elabora un metodo di diffusione cittadino, che dà buoni risultati appunto in Oriente e risultati invece piuttosto modesti in Occidente, dove gli agglomerati urbani erano meno numerosi e disseminati in vaste regioni agricole. Del resto qui nelle campagna i contadini, ignoranti com’erano del greco e legati com’erano alle antiche tradizioni, scoraggiavano i tentativi di penetrazione del cristianesimo.

Da quanto abbiamo detto traspare che anche la primitiva cristianizzazione dell’Occidente può benissimo essere considerata un aspetto di quel fenomeno generale, che fu l’ascesa dell’Oriente ad un ruolo egemonico in seno alla compagine imperiale.

 

Evoluzione nel corso dei primi decenni del V secolo

Disponiamo di parecchie opere, che affrontano il problema a livello locale, ma ancora manca l’opera che raccolga questi dati per elaborare una sintesi. La tappa finale potrebbe essere rappresentata dalla metà del V secolo, quando oramai l’Impero romano è diventato quasi totalmente cristiano. Ma vediamo come si è compiuto questo processo di diffusione: distinguiamo tra parte occidentale e parte orientale.

 

Parte occidentale: il fenomeno di cristianizzazione diventa qui rilevante soprattutto nella seconda metà del IV secolo e raggiunge la dimensione di fenomeno di massa all’epoca dell’imperatore Teodosio (imperatore dal 379 al 395). Il segno più evidente di tale diffusione è costituito dall’infittirsi delle sedi episcopali.

        Spagna: il sinodo di Elvira dell’inizio secolo (306 o 312) offre l’immagine di una Chiesa abbastanza solida soltanto nel sud, invece i sinodi di Saragozza e di Toledo, che furono celebrati a fine secolo (380) danno l’impressione che oramai il paganesimo sia divenuto un problema ed una presenza di scarso interesse.

Gallia: verso il 325 vi si contavano 25 sedi episcopali, nel 375 invece se ne contano 54, alla metà del V secolo i vescovi saranno 117. L’evangelizzazione dapprima si svolge nelle città: alla metà del IV secolo la maggioranza della popolazione delle città è ancora pagana, alla fine del IV secolo la grande maggioranza è diventata cristiana. Con Martino di Tours (+387) e Victricio di Rouen (+417) negli ultimi decenni del IV secolo l’evangelizzazione si rivolge anche alle campagne.

Italia: per ovvie ragioni alla diffusione del cristianesimo in Italia diamo un’attenzione particolare. Rimane fondamentale l’opera di F. LANZONI, Le diocesi d’Italia (= Studi e Testi 35), 2 voll, Faenza 1927. La ripartizione politico-territoriale del territorio imperiale in Italia prevedeva in Italia la presenza di due diocesi: al Nord l’Italia Annonaria, al Centro e al Sud l’Italia Suburbicaria. Le due diocesi all’inizio del IV secolo presentano un grado notevolmente diverso di cristianizzazione: al Nord i cristiani rappresentano ancora una minoranza molto esigua; le sedi episcopali certe sono soltanto 5: Milano, Ravenna, Aquileia (fondate verso la fine del II secolo), ad esse verso la fine del III secolo si aggiunsero Verona e Brescia. I martiri ricordati dal martirologio geronimiano (denominazione falsa, infatti la redazione più antica risale alla metà del V secolo e quella attualmente in uso alla fine del V secolo) sono soltanto 30.

Nell’Italia Suburbicaria all’inizio del IV secolo la presenza cristiana sembra più rilevante, anche se minoritaria rispetto al paganesimo: vi si contano infatti 16 sedi episcopali: in Lazio e Campania accanto a Roma brilla per antichità Napoli, fondata verso la fine del I secolo; in Toscana abbiamo Chiusi; in Sicilia: Taormina, Siracusa, Catania. Anche il numero dei martiri è maggiore: 175.  

Complessivamente si può rilevare che il cristianesimo si è stabilito nei principali centri politici, commerciali, culturali e militari. In particolare, costruendo l’antica carta geografica religiosa italiana si può osservare che le diocesi ecclesiastiche, di cui è documentata l’esistenza nei primi cinque secoli, si trovano sulle grandi vie consolari. Si può quindi legittimamente avanzare l’ipotesi che i primi destinatari del messaggio cristiano in questi centri commerciali e militari furono i membri delle colonie greche e delle colonie ebraiche ivi insediate.

Nel corso del IV secolo vennero create in Italia altre 87 sedi episcopali: 27 nell’Italia Annonaria (Rimini, Faenza, Imola, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Forlì, Tortona, Genova, Padova, Trento, Bergamo, Como, Pavia, Lodi, Novara, Vercelli, Torino, Ivrea, Aosta…); 60 nell’Italia Suburbicaria (Firenze, Pisa, Lucca, Perugia, Siena, Arezzo, Terni, Todi, Pesaro, Spoleto, Gubbio, Ancona, Civitavecchia, Agrigento, Marsala…).

Il momento di massimo incremento del cristianesimo si ebbe nella seconda metà del IV secolo, quando la maggioranza della popolazione italiana aderì alla nuova fede. Tuttavia rimane una forte presenza pagana nelle valli alpine e nella stessa città di Roma, che per buona parte del IV secolo rimase prevalentemente pagana. Per tutto il IV secolo l’Italia annonaria fu dominata da Milano, che era l’unica sede metropolitana. Milano infatti era capitale imperiale, centro commerciale di massima importanza e godeva dell’azione pastorale di vescovi prestigiosi: Mirocle, Eustorgio, Dionigi, Ambrogio.

All’inizio del V secolo il potere ecclesiastico di Milano venne ridimensionato sia dalle prerogative metropolitane del patriarca di Aquileia, che controllava le Venezie e l’Istria e sia dalla sede di Ravenna, divenuta nel frattempo capitale della parte occidentale dell’Impero.

Nell’Italia Suburbicaria invece dominava incontrastata la sede romana, dalla quale dipendeva direttamente un numero grandissimo di vescovi: sotto questo profilo la sede metropolitana romana era paragonabile alla sede di Alessandria d’Egitto.

Al nord della linea tracciata dal corso della Loira e delle Alpi: la cristianizzazione rimase notevolmente modesta e legata soprattutto ai centri urbani, che l’attività commerciale e militare vi istituì: Xanten, Bonn, Colonia, Magonza, Augusta, Worms, Spira, Treviri, York, Londra, Lincoln. Si comprende così come mai la tenue presenza cristiana sarà completamente fagocitata e cancellata dagli insediamenti germanici pagani.

Parte orientale dell’Impero: qui l’avanzata del cristianesimo si compì in termini rilevanti già a partire dal 324, cioè dalla vittoria di Costantino su Licinio. Vi furono coinvolte primariamente le città, ma molto presto l’attività missionaria si rivolse anche alle campagne. L’Asia Minore, dove emergevano per la loro vitalità ecclesiastica la Cappadocia, la Siria (che aveva come suo centro ecclesiastico un’Antiochia che nel 390 circa appariva una città cristiana), la Palestina (in cui si imponevano come città cristiane Gerusalemme e Cesarea), l’Egitto (che nel 325 con le sue 90 sedi episcopali aveva già raggiunto la sua base organizzativa definitiva e che agli inizi del 400 era già quasi totalmente cristiano).

2) spiegazione del fenomeno

Si tratta ora di comprendere come mai si produsse un fenomeno simile. Ogni convertito come san Paolo avrebbe potuto affermare: “Per grazia di Dio sono quel che sono e la sua grazia non è stata vana in me” (1Cor 15,10): ma è chiaro che la presenza e l’azione della grazia per via della loro natura soprannaturale sfuggono ai nostri metodi di rilevazione e valutazione storica. D’altra parte sappiamo come credenti che l’azione della grazia non è mai totalmente disgiunta dalla sfera di quegli accadimenti, che costituiscono la materia dell’indagine storica.

In questa prospettiva mi pare che possano venirci utili indicazioni dalla considerazione di 3 elementi:

A.   La situazione del paganesimo nel IV secolo;

B.   la politica degli imperatori del IV secolo nei confronti del paganesimo;

C.   l’attività missionaria dei cristiani.

 

A – La situazione del paganesimo nel IV secolo

Facciamo prima di tutto una precisazione terminologica: il termine “pagano” nella sua accezione religiosa compare nei testi giuridici nel 370 circa, è usato come sinonimo di gentilis. Per capire questo dato terminologico diversi specialisti rimandano alla lingua latina. Primo uso: paganus da pagus: villaggio: pertanto tale termine era usato per designare i “contadini”: la preponderanza dell’elemento urbano nel cristianesimo primitivo avrebbe portato a identificare i pagani-contadini con i pagani-noncristiani.

Secondo uso: nel linguaggio militare pagani erano i civili, i non milites, da ciò secondo alcuni studiosi conseguirebbe che i non cristiani furono chiamati pagani, perché non prendevano parte alla milita Christi (cfr J. GAUDEMET, L’Église dans l’Empire Romain IVe- Ve s., Paris 1958, p. 633).

Circa la situazione e la vitaltà del cristianesimo nel IV secolo si è spesso sostenuta la tesi che si trattava di una paganesimo in decadenza. A conferma di ciò si adducevano diversi passi di autori ecclesiastici, in cui si parlava di templi deserti, di statue di divinità pagane mal ridotte o abbattute. In realtà, se si integrano le testimonianze letterarie degli autori ecclesiastici con le testimonianze letterarie d’altro tipo con i dati dell’archeologia e dell’epigrafia, si ricava un’impressione ben diversa: il paganesimo appare ancora molto praticato ed in certe circostanze anche molto attivo ed aggressivo.

La vera crisi del paganesimo classico si era prodotta nel periodo che va dal 170 al 270 d.C., allorché le sia le pressioni persiane e barbare ai confini sia la crisi economico-sociale e l’anarchia politica degli anni 235-268, sia la peste, imposero una revisione della mentalità e della prassi religiosa (questa prassi portava a spese ingenti per mantenere i templi, i collegi sacerdotali, i sacrifici, i giochi olimpici). La mentalità che entrò in crisi fu quella, molto diffusa, secondo la quale i popoli dell’Impero romano si sarebbero assicurati la “providentia deorum” con la semplice celebrazione esteriore dei riti pagani e quindi si sarebbero trovati a vivere nel migliore dei mondi possibili: dal 170 in poi questa convinzione fu radicalmente scossa per via dei problemi, che sono stati accennati prima. Ma il crollo dell’armonia del mondo esteriore provocò per esempio il ricupero dell’interiorità con la conseguente esigenza di sostituire al formalismo rituale del paganesimo tradizionale un rapporto personale con la divinità. Le difficoltà sociali e politiche resero poi attuale il problema del male e della salvezza. Ma per il paganesimo non fu la fine, perché recependo nel suo quadro istituzionale le religioni misteriche orientali, impedì che le nuove problematiche determinassero abbandoni o contrapposizioni. A questo salvataggio del paganesimo partecipò anche il neoplatonismo che, dopo Plotino, abbandonò sempre più i sentieri della speculazione filosofica per trasformarsi in una mistagogia (alle dottrine del maestro furono unite le speculazioni dei sofisti e dei moralisti e la simbolica dei misteri orientali). Il neoplatonismo in questa sua nuova versione mistagogica da una parte contribuì a conferire al paganesimo quello spessore dottrinale, che fino a quel momento gli era mancato  e dall’altra impedì che gli intellettuali divorziassero dal paganesimo. Inoltre il neoplatonismo in versione devota, offrendo agli spiriti più esigenti la possibilità di interpretare allegoricamente la mitologia pagana, concorse efficacemente al superamento del politeismo nella sua accezione più rozza ed elementare. Ovviamente  questo contesto, che spinse il paganesimo ad evolversi come detto, fu terreno favorevole anche per la diffusione del cristianesimo.  Fu pure terreno favorevole per il successo delle filosofie etiche, fautrici della pace interiore e dell’atarassia.

Che il paganesimo abbia superato felicemente la crisi è dimostrato dal fatto che fu assunto come fattore di ricostruzione e coesione da Aureliano e da Diocleziano. Quest’ultimo addirittura, legando il paganesimo alla sua politica di romanizzazione dell’Impero, ne fece un baluardo del conservatorismo romano.

L’improvvisa, sorprendente e per molti aspetti inspegabile svolta costantiniana provocò nella Chiesa un’ondata di euforia trionfalistica, che si trasformò nella prima metà del IV secolo in atteggiamento aggressivo: questo spiega il ruolo piuttosto diverso e disorientato che il paganesimo si trovò a dovere interpretare in tale periodo soprattutto in Oriente. Ma il quadro mutò nella seconda metà del IV secolo: la pietà pagana, soprattutto nelle classi elevate, si esaltò, divenne più ardente, più mistica e la presenza pubblica divenne più decisa.

Per offrire un’immagine più precisa della vitalità pagana soffermiamoci su tre aspetti: la ripartizione sociale del paganesimo, il tentativo di restaurazione compiuto da Giuliano l’Apostata, Simmaco e la questione dell’ara davanti alla statua della Vittoria nel senato romano.

1.     La ripartizione sociale del paganesimo: il paganesimo conta principalmente quattro gruppi di adepti, socialmente molto diversi, ma ugualmente rilevanti: la popolazione rurale, l’aristocrazia, gli intellettuali, l’esercito.

La popolazione rurale: l’evangelizzazione del IV secolo, soprattutto in Occidente, aveva raggiunto le campagne in maniera piuttosto ridotta. Si ebbe un progresso nel V secolo, che. sempre in Occidente, fu presto ostacolato e in parte compromesso dalle invasioni. Il successo, forse più superficiale che profondo, si ebbe pienamente solo nel VI secolo. I contadini, che erano rimasti estranei al fenomeno prevalentemente urbano della fioritura della cultura antica, praticavano un paganesimo che si alimentava essenzialmente a un antico sottofondo di credenze ancestrali: si trattava ancora di una religione naturalistica, dedita al culto delle forze naturali per scongiurare che la cattiva sorte avesse a infierire sul raccolto. Con il passare del tempo si era prodotta una certa adeguazione al politeismo ufficiale, ma si trattò di un fenomeno piuttosto superficiale, infatti sotto i nomi delle divinità dal pantheon continuò a sopravvivere l’antica religiosità ed i tempietti du Artemide e Cibele disseminati nelle campagne non fecero altro che sostituire i sassi sacri, gli alberi e le sorgenti sacre, a cui in passato veniva affidata la tutela della vita agricola.

L’aristocrazia: durante il lungo periodo della pax romana aveva goduto di una posizione di completo predominio nella politica e nella vita culturale. Ma con il sorgere della potenza della Persia nel 224, con il fenomeno della confederazione gotica nel bacino danubiano dopo il 248 e con il pullulare di bande guerresche lungo il Reno dopo il 260, l’Impero dovette trasformarsi da struttura di pace in struttura di guerra. Questa evoluzione evidentemente finì con il privilegiare la classe militare e con il ridurre gli spazi dell’aristocrazia: il comando militare non fu più affidato ad aristocratici in base a criteri ereditari e di casta, si preferì lasciare il posto all’efficienza dei militari di carriera. Le esigenze belliche inoltre portarono all’aumento delle dimensioni dell’esercito e al conseguente incremento sia delle tasse sia della classe dei burocrati, che dovevano curare la fiscalità. Così l’aristocrazia da un lato si trovò emarginata dalla vita militare e politica in seguito all’ascesa dei militari e dei burocrati e dall’altro si trovò notevolmente appesantita nel suo ruolo di contribuente: questo può bastare per fare intuire come nell’evoluzione dell’Impero l’aristocrazia abbia assunto una funzione di conservazione ed opposizione. L’opposizione al nuovo, a tutto il nuoco che l’evoluzione in corso comportava, divenne anche opposizione alla cristianizzazione dell’Impero. La conservazione tenace e nostalgica del passato divenne pertanto anche conservazione di quel paganesimo, che tanta parte aveva avuto nel mos maiorum. Vale però la pena di notare che questa aristocrazia del sangue era costituita dalle grandi famiglie patrizie romane, che ovviamente risiedevano per lo più nella parte occidentale dell’Impero; in Oriente, che era di recente conquista, si formò invece un altro tipo di aristocrazia, fondata non già sul grande passato romano, ma sul prestigio  recente, conseguito per meriti militari e burocratici o per favore imperiale. In Oriente pertanto l’aristocrazia non fu elemento di conservazione e opposizione, ma anzi si trovò pienamente legata al nuovo corso politico, militare e religioso. Va poi aggiunto che il principale artefice del nuovo corso fu il potere imperiale, che eliminò il carrierismo ereditario e automatico della aristocrazia tradizionale, mentre dal canto suo dette vita al carrierismo del merito o del privilegio, che creò la nuova aristocrazia orientale. Ovviamente questa aristocrazia orientale fu decisamente filo-imperiale, consenziente e succube su tutti i fronti, anche su quello religioso. L’aristocrazia occidentale, invece, fu sempre ostile agli imperatori della novità e cercò sempre di appoggiare gli imperatori che facevano un qualche discorso di restaurazione, quali Giuliano l’Apostata e l’usurpatore Eugenio.

Dal canto loro gli imperatori cristiani ritennero opportuno di non dovere ricambiare l’opposizione degli aristocratici occidentali con lo scontro frontale, per il fatto che questa aristocrazia d’Occidente per via della sua potenza patrimoniale rappresentava una forza di rilievo e di grande utilità fiscale. Pertanto gli imperatori cristiani, pur non rinunciando alla loro politica, in Occidente preferirono procedere con moderazione, che non esasperasse l’opposizione al punto di trasformarla in una forza positiva di ribellione: in questa prospettiva la loro politica religiosa in Occidente fu più libertaria, accettarono pure di affidare ruoli militari e amministrativi anche a qualche esponente dell’aristocrazia tradizionale.

Concludendo: la nuova aristocrazia orientale dipendeva a tal punto dal potere imperiale da diventarne uno strumento fedelissimo: ariana con imperatori ariani, pagana con Giuliano l’Apostata, cristiana ortodossa con imperatori cristiani ortodossi. La nuova aristocrazia orientale pertanto assicurò forte sostegno al potere imperiale, che veniva esercitato sempre più monarchicamente e autocraticamente. L’aristocrazia tradizionale d’Occidente invece rappresentò una forza autonoma, che le consentì di condizionare il potere imperiale, senza però condizionarlo a tal punto da costringerlo a un cambiamento di rotta. Il potere imperiale infatti con la sua politica meritocratica e clientelare si guadagnò la fedeltà dell’esercito e dell’apparato burocratico e così si garantì una forza capace di mantenere le potenze conservatrici dell’opposizione entro limiti, che non recassero disturbo. Comunque è interessante sapere che l’aristocrazia tradizionale, quando l’Impero cadde nella parte occidentale, rappresentava nel senato romano ancora una minoranza con notevole influenza.

Gli intellettuali: anche in essi l’attaccamento al paganesimo era connesso con un atteggiamento globale di conservazione e di opposizione al nuovo corso. Potremmo definire questo atteggiamento degli intellettuali come aristocratico per varie ragioni. Prima di tutto per una certa coincidenza tra ceto intellettuale e ceto aristocratico. Erano certamente gli aristocratici che potevano concedersi l’otium dello studio. Ma nell’opposizione al nuovo corso furono impegnati non solo gli intellettuali provenienti dalla aristocrazia tradizionale occidentale, ma anche quelli provenienti dalla nuova aristocrazia orientale; anzi proprio questa espresse la sua opposizione in maniera più virulenta. Questo ci porta a ritenere che lì opposizione degli intellettuali era connessa non solo con le ragioni di provenienza sociale, ma anche con ragioni propriamente intellettuali. Il nuovo corso pose gli intellettuali di fronte a questo dato: il divorzio tra cultura e classe dirigente. Come mai? Gli intellettuali si impegnarono sempre più a percorrere la via della retorica secondo i modi della letteratura classica pagana, divenendo sempre più i cultori del bel dire e sempre meno esperti del giusto fare. Gli intellettuali si dedicarono sempre più ad una certa etica e mistagogia, divenendo sempre più cultori dei grandi problemi del mondo interiore e sempre più lontani dalla vita del mondo esterno delle scienze naturali, delle scienze con sbocchi operativi. Il nuovo corso politico, pressato com’era dai problemi militari, sociali, economici, ovviamente privilegiò quei settori, che gli potevano assicurare quella efficacia operativa, che invece era sempre più disertata dagli intellettuali. L’amara esperienza di emarginazione portò gli intellettuali a praticare sempre più una concezione aristocratica della cultura, riservando uno sguardo sprezzante ai piccoli uomini del nuovo corso. La nostalgia di tutto quel passato, che animava il loro mondo ideale, li pose contro a tutto il nuovo, anche al cristianesimo: e così gli intellettuali si trovarono al fianco dell’aristocrazia, dando espressione efficace alle sue opinioni.

Mi soffermo un po’ sugli argomenti, che gli intellettuali del IV secolo utilizzarono nella loro polemica anti-cristiana.

 

·         In nome della sermonis elegantia coltivata dagli studia liberalia nutrivano viva ripulsione nei confronti dei testi cristiani, disgustosi per la loro rozzezza: soprattutto la Vecchia Vulgata nel suo latino scorretto, nella sua narrazione di eventi estranei alle narrazioni della classicità, nel suo mondo concettuale assai differente dalle concezioni filosofiche classiche. Anche per Agostino il primo impatto con la Bibbia fu assai deludente. Il famoso scambio epistolare tra Seneca e san Paolo fu appunto un falso dettato dall’intento di contrastare le eccessive ripugnanze dei letterati pagani nei confronti della forma poco letteraria dei primi scritti cristiani. Se Seneca, nonostante lo stile talora zoppicante di Paolo, ne apprezzò le lettere, perché gli intellettuali del IV secolo non dovrebbero fare altrettanto, dando anch’essi più peso alla sostanza che alla forma?

L’autore cristiano della falsificazione fece un’operazione brillante: tentò di valorizzare gli scritti cristiani senza denigrare la cultura pagana, anzi stabilendo un dialogo con essa. A diversi intellettuali pagani la cosa dovette apparire come una prova simpatica e accattivante di moderazione. Non mancarono però autori cristiani, che opposero alla polemica pagana posizioni radicali, quali il rifiuto in blocco della retorica come maestra di errori o l’esaltazione del qualunquismo espressivo: non importano molto i barbarismi ed i solecismi, l’importante è farsi capire e comunicare contenuti di alto valore!

·         In nome della catena ininterrotta di pratiche devote, di massime sagge, che hanno origini che si perdono nella notte dei tempi, denunciano la “novitas” del cristianesimo, nato sotto l'imperatore Tiberio. Mentre il Giudaismo per la sua vetustà rispettabile veniva contrastato perché molto diverso, il cristianesimo venne contrastato perché “novus”. A fondamento di questo rifiuto del novus, c’è una concezione etnica del fenomeno religioso: ogni popolo ha alle sue origini remote un suo dio, che ne fissa gli usi ed i costumi ed ogni popolo che si attiene a questi usi e costumi antichi merita rispetto, perché gode senz’altro della protezione del suo dio. I cristiani, invece, non sono un popolo, ma una congerie di genti, che provengono da popoli diversi e che hanno tradito gli usi antichi, commettendo il crimine di irreligiosità, di ateismo. Non mancarono autori cristiani, che entrarono nella polemica mettendo in campo affermazioni radicali. Lattanzio, per esempio, nelle sue “Divinae institutiones, 2 II,8 ironizza su alcuni versi delle “Elegiae romanae”, (IV, I,11 s.) di Properzio, nei quali con fierezza si rimanda alla volontà dei grandi senatori della Roma primitiva. Lattanzio si domanda se è proprio il caso di subordinarsi in tutto a ciò che avevano pensato quei cento vecchi in pelli ferine (“centum pelliti senes”). Lattanzio invece afferma che quando si tratta di una cosa tanto importante come la condotta di una vita, è a se stessi che bisogna affidarsi, è con l’aiuto del proprio giudizio che bisogna cercare e conquistare il vero. È meglio usare la piccola particella di saggezza concessa a ciascuno che accettare a occhi chiusi gli “inventa maiorum”. Anche il poeta laico cristiano Prudenzio nel suo Contra Symmacum (II,277 ss), in maniera radicale afferma irridendo che il mos maiorum è radicalmente ostile al progresso umano, anzi favorisce un deleterio regresso ad un passato del tutto superato,

Altri autori cristiani, più opportunamente, assunsero un tono più conciliante, tentando appunto di conciliare il cristianesimo con il culto del passato degli intellettuali pagani, mostrarono pertanto che il cristianesimo aveva il suo passato nel Giudaismo, di cui era continuazione e compimento, elaborarono quindi delle cronologie, dalle quali risultava che la religione giudaica era la più antica di tutte le altre, perché risaliva addirittura alla creazione del mondo. Questa questione dell’antichità ebbe una ricaduta molto significativa all’interno dello stesso mondo cristiano: portò infatti alla formazione del concetto della tradizione apostolica: la Chiesa cioè si gloria sempre più di fare risalire la sua dottrina, la sua disciplina, la sua gerarchia agli Apostoli e, tramite loro, direttamente al Cristo.

L’esercito: per tutto il IV secolo l’esercito rimase in gran parte pagano, soprattutto perché reclutava sempre più i soldati tra i barbari e nelle campagne, contesti ancora dominati dal paganesimo. Si trattava pertanto di un paganesimo di abitudine, superficiale, naturalistico.

Alla fine di questa analisi della composizione sociale del paganesimo si impone senz’altro questo interrogativo: come mai un fenomeno di così grande estensione sociale e di grande rilevanza numerica nel corso del IV secolo divenne perdente, nonostante la sua vitalità?

Rifacendomi al saggio citato di A.H.M. JONES (Lo sfondo sociale della lotta tra paganesimo e cristianesimo: Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV), vado a cercare la ragione proprio nel peso sociale delle classi, che aderivano al paganesimo.

La popolazione rurale: il suo peso nella vita economica dell’Impero era rilevante, infatti si ritiene che da lì provenisse più del 90% del gettito fiscale. Tuttavia, nonostante la loro preponderanza numerica, nonostante la rilevanza economica della loro attività, le opinioni delle classi contadine non contavano quasi nulla. Infatti, il loro peso si riduceva enormemente: in uno stato, che tendeva a passare dal dominio di una oligarchia aristocratica al dominio autocratico dell’imperatore, erano le opinioni dell’esercito e della burocrazia a diventare rilevanti. Ad impedire ai contadini di assumere un ruolo sociale autonomo e decisivo contribuì anche il sistema del patronato, che si accentuò notevolmente nel IV secolo: nella loro religiosità i contadini dipenderanno da quella dei patroni.

Dal canto loro contadini non vissero questa condizione marginale, servendosi del paganesimo come mezzo di opposizione e conservazione, infatti non avevano un passato aureo da difendere. Per i contadini l’essere pagani fu piuttosto un mezzo per ottenere la benevolenza dei patroni pagani.

Si capisce allora perché l’azione missionaria cristiana si indirizzò in primo luogo verso i proprietari terrieri.

Esercito: come dicemmo, nel IV secolo era in maggioranza pagano, perché reclutava soprattutto tra i contadini e i barbari. Ma il suo paganesimo fu sostanzialmente passivo: era un conformarsi alla religione prevalente nello stato, qualunque essa fosse. Ovviamente nell’esercito le convinzioni religiose passavano in secondo piano rispetto alla disciplina militare e all’obbedienza richiesta. Questa propensione fu poi accentuata dal nuovo corso, che fondava la carriera non più su considerazioni di casta aristocratica, ma di efficienza militare e lealismo. Influiva anche sulla religiosità dei contadini e dei barbari, che entravano nell’esercito, lo sradicamento dalle abitudini e dalle credenze delle loro comunità di provenienza. Questa esperienza di sradicamento  comportava da un lato un inevitabile disorientamento e dall’altro una tendenza all’adattamento al nuovo ambiente. Il tono al nuovo ambiente era dato dai militari di carriera, dai figli dei soldati e dei veterani, che in ragione del lealismo, che garantiva la scalata ai gradi, abbracciavano senz’altro la fede religiosa degli Imperatori.

L’aristocrazia tradizionale: benché detenesse una ricchezza immensa e conservasse un altro prestigio sociale, nel corso del III secolo perse gran parte della sua importanza politica: Gallieno l’aveva esclusa dalle cariche militari, Diocleaziano l’aveva relegata in funzioni amministrative del tutto secondarie. Con la svolta costantiniana soprattutto in Occidente gli imperatori scelsero di affidare cariche amministrative e militari ad esponenti della ricca aristocrazia senatoria, però nel contempo ne neutralizzarono l’influenza e il peso politico, immettendo nell’ordine senatorio un numero notevole di persone provenienti dalle classi più basse.

A fronte di questo potere imperiale autocratico sia l’aristocrazia tradizionale sia quella nuova si trovarono costrette a praticare un lealismo opportunistico nei confronti degli imperatori cristiani. Perciò l’aristocrazia tradizionale occidentale interpretò il suo orientamento religioso pagano con moderazione: la sua difesa del paganesimo non assunse i toni aspri della lotta contro il cristianesimo, ma si accontentò di esprimersi come tentativo di giustificare e legittimare la propria scelta di non essere cristiani.

Gli intellettuali: per via della divaricazione tra cultura e classe dirigente, non rappresentavano più una forza politica seria; la loro opposizione fu accademica: accademica sia perché trovava espressione solo nei professori, sia perché trovava espressione solo in discorsi e opuscoli.

Concludendo, dobbiamo dire che il paganesimo si alimentava presso classi sociali, che non avevano di fatto grande capacità di incidere in maniera determinante nella conduzione del mondo tardo-antico. Il cristianesimo invece raggiunse proprio quei ceti medi, da cui gli imperatori della ricostruzione trassero la loro classe dirigente.  Sia chiaro, non si deve perciò concludere che la grande diffusione del cristianesimo nel IV secolo fu soprattutto una faccenda di opportunismo; si deve invece concludere che questa situazione favorì un’attenzione benevola nei confronti della religione cristiana.

A questo punto mi pare opportuno richiamare le altre ragioni, che vengono addotte per spiegare il successo del cristianesimo.

Le 5 ragioni di GIBBON:

-       zelo dei cristiani

-       dottrina cristiana circa la vita futura

-       i miracoli

-       la moralità severa e schietta

-       la forza crescente dell’organizzazione ecclesistica.

Le 3 ragioni di GERHART LADNER, The impact of Christianity  (1966):

-       il rapporto originale che il cristianesimo pone tra morale e religione; nella tradizione antica la morale si connetteva con la filosofia e quindi la religione aveva una funzione rituale;

-    il rapporto con la verità: il cristianesimo lo rivendica in maniera esclusiva, il paganesimo invece aveva un’impostazione pluralista;

-       la concezione cristiana del tempo: non ciclica e fatalista come nel mondo pagano, ma lineare, che consente l’idea del progresso e della libertà dell’uomo.

Le 6 ragioni di E.R.DODDS, Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia, Firenze 1970, pp 101-136.

-       debolezza del paganesimo

-       esempio dei martiri

-       proposta totalitaria in un mondo disorientato e desideroso di sicurezze

-       apertura verso tutte le classi

-     maggiore incisività della dottrina cristiana dell’aldilà («insieme bastone più grande e carota più saporita»

-   notevole forza di coesione della comunità cristiana in un contesto di disgregazione delle comunità tradizionali.

 

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