Il paganesimo nel IV secolo:
il tentativo di restaurazione di Giuliano l’Apostata (331-363)
Figlio di Giulio Costanzo, fratello di
Costantino, chiamato “apostata” già dai cristiani del suo tempo: da cristiano
qual era si fece pagano e, divenuto imperatore, tentò di riportare al
paganesimo un Impero, che stava diventando sempre più cristiano.
Si può facilmente spiegare come mai a
Giuliano riuscì di operare la svolta, che desiderava imporre alla vita
pubblica: nel periodo tardo-romano l’imperatore aveva assunto nell’Impero un
ruolo determinante, incontrastato e incontrastabile, grazie all’incondizionato
appoggio dell’esercito e della burocrazia. Giuliano potè contare non solo sulla
sua forza assolutistica, autocratica, ma anche sul peso ancora notevole, di cui
il paganesimo godeva nella società d’allora.
Più difficile è invece individuare le
ragioni, che spinsero Giuliano alla scelta personale di apostasia: sono
ragioni, che si collocano in gran parte nella sfera intima e misteriosa della
sua persona, sfera in gran parte impenetrabile e indecifrabile. Forse una certa
illuminazione può venirci dalla psicanalisi applicata all’infanzia di Giuliano,
che fu contrassegnata da gravi esperienze traumatiche.
Pochi mesi dopo la sua nascita rimase orfano
di madre. Nel 337, a 6 anni, perse anche il padre Giulio Costanzo, che fu
assassinato dall’esercito: nei mesi
successivi alla morte di Costantino l’esercito fece strage di tutti i maschi
della famiglia imperiale, che potessero contrastare l’ascesa al potere
imperiale dei tre figli di Costantino, che erano ancora in vita: Costantino II,
Costanzo e Costante. Giuliano fu risparmiato in ragione della sua tenera età,
ma fu tenuto sotto rigido controllo dal cugino Costanzo, che lo condannò a
vivere una infanzia ed un’adolescenza in una segregazione di tipo claustrale.
In questi anni Giuliano maturò la convinzione che primo responsabile
dell’assassinio di suo padre fu proprio il suo tutore, Costanzo.
L’educazione di Giuliano fu affidata a maestri di prestigio quali Eusebio di Nicomedia e Giorgio di Cappadocia, ma queste personalità erano troppo impegnate sia a corte sia nella vita ecclesiale per potere riservare a Giuliano tempo e cuore. Infatti Eusebio di Nicomedia fu presto nominato vescovo di Costantinopoli e a Giorgio di Cappadocia fu assegnata la sede di Alessandria e quindi mancò loro tempo per seguire Giuliano. Per di più questi due maestri insigni erano così imbevuti di razionalismo ellenistico da abbracciare l’arianesimo.
E’ quindi comprensibile che Giuliano crescesse,
provando una grande senso di oppressione e di carenza affettiva, che lo
sospinse a cercare evasione ed autoaffermazione ribelle. Andò a cercare il
conseguimento di questo nel mondo ellenistico, che lo studio delle lettere gli
faceva frequentare.
Ovviamente Giuliano non maturò una fede
cristiana compatta, convinta, ma piuttosto alimentò la doppiezza di un
agnostico ante litteram.
Giuliano fu battezzato, divenne anche
lettore, visse una pratica cristiana caratterizzata da una fedeltà più
volontaristica che di mente e di cuore: infatti Giuliano, quando si disfece
della dottrina cristiana, mantenne ancora anche nel paganesimo pratiche e
aspetti disciplinari del cristianesimo.
A 20 anni, nel 351, ottenne un attimo di
libertà, che investì in ricerca culturale presso vari centri culturali
d’Oriente. Fu anche alla scuola di Atene, dove conobbe Gregorio di Nazianzo,
che studiava lì proprio in quegli stessi anni.
Ad Atene Giuliano maturò la decisione di
abbandonare la fede cristiana per passare ad un sincretismo molto complesso,
che associava al politeismo greco-romano tradizionale una interpretazione
allegorica, secondo la tendenza del neoplatonismo in versione religiosa, che
meglio si confaceva alla sua mente, che era più incline alla mistica che alle
speculazioni filosofiche.
La presenza al potere di un Costanzo
violento, che proprio in quegli anni aveva fatto giustiziare Gallo, suo cugino
e fratello di Giuliano, indusse Giuliano a tenere nascosta la sua apostasia e a
simulare di praticare le cerimonie cristiane. Elevato al ruolo di Cesare,
Giuliano a partire dal 355 fu impegnato in Gallia sia per lottare contro i
barbari sia per svolgere attività politico-amministrativa. Nella Gallia ancora
prevalentemente pagana e lontano dal cugino Costanzo, Giuliano poté sia
allentare i suoi legami con la Chiesa sia sviluppare una certa autonomia nei
confronti dell’odiato cugino imperatore.
Nel febbraio 360 le truppe della Gallia
proclamarono Giuliano imperatore e Giuliano per 21 mesi usurpò il titolo
imperiale. A Costanzo non riuscì di imporsi sul cugino usurpatore, perché, mentre
gli si mosse contro con una spedizione militare, cadde gravemente malato. Poco
prima di morire Costanzo si trovò così costretto a designare come suo
successore Giuliano, che era oramai l’unico maschio rimasto della dinastia
imperiale. Nei 2 anni, in cui detenne il potere imperiale, Giuliano poté dare
libero corso ai progetti, che aveva coltivato nella sua giovinezza inquieta e
studiosa.
Si deve riconoscere in generale che la
politica di Giuliano risentì gravemente del fatto, che era stata elaborata da
un principe giovane, che troppo a lungo era stato lontano dalle molle del
potere e invece si era lasciato influenzare dalle teorie piuttosto disincarnate
dei filosofi e dei retori: ne conseguì che furono messe in atto scelte, che
disconoscevano le esigenze reali del tempo. Questo spiega, insieme con la
brevità del governo, il sostanziale fallimento della politica di Giuliano.
Soffermiamoci sul versante religioso di
questa politica: ciò che prima di tutto traspare è tutto quel complesso di
atti, che miravano a restaurare pienamente il paganesimo:
a)
soppressione di tutte quelle norme, che imponevano
restrizioni al culto pagano (quindi riapertura dei templi, ampia possibilità di
celebrare sacrifici, rilancio dell’attività edilizia pagana);
b)
riaffermazione del carattere pagano dello Stato:
l’imperatore tornò a rivestire il ruolo di Pontifex Maximus; soppressione del
labaro costantiniano; sulle monete tornarono a comparire le immagini delle
divinità pagane; le cariche amministrative vennero affidate preferenzialmente
ai pagani; trasferimento ai sacerdoti pagani dei privilegi civili, che erano
stati attribuiti al clero cristiano;
c)
tentativo di rinnovare il paganesimo: si cercò di elaborare
una teologia pagana, in cui dominava la figura di Zeus, che dalla sua sostanza
divina trae il Sole, che svolge la funzione di mediatore tra l’idea del bene e
la creazione: come si vede, si tratta di una teologia, in cui si intrecciano
elementi del paganesimo tradizionale con elementi del platonismo e con elementi
del dibattito trinitario cristiano.
d)
Costituì all’interno del paganesimo una gerarchia di
sacerdoti, strutturandola sul modello dell’episcopato cristiano: i sacerdoti di
una provincia dipendevano da un arci-sacerdote, che a sua volta dipendeva dal
potere supremo dell’imperatore, Pontifex Maximus.
e)
Venne elaborato un cerimoniale per le celebrazioni
cultuali, che prevedeva canti, preghiere e predicazione su testi sacri del
paganesimo, presi soprattutto da Omero e da Esiodo.
f)
Si tentò anche di dare un’anima morale al paganesimo: sono
molto significative le cosiddette “lettere pastorali” di Giuliano (Gibbon) ai
sacerdoti pagani, in cui veniva loro raccomandato di condurre una vita
irreprensibile, austera, che fosse per tutti esempio di pietà e di carità. Si dava
una sottolineatura vigorosa al tema della fratellanza e dell’amore verso i più
poveri della comunità, con chiaro rimando a quanto veniva praticato nelle
comunità cristiane. Per le trasgressioni del codice morale pagano si prevedeva
la penitenza, mentre per gli incorreggibili si comminava la scomunica.
Questo evidente rifarsi al cristianesimo
di Giuliano nella sua azione di rinnovamento del paganesimo mostra da un lato
la volontà e la speranza di coinvolgere parecchi cristiani nel paganesimo
rigenerato e dall’altro però prova quanto il paganesimo stesso fosse cosciente
che, se voleva ridarsi vitalità, doveva cercare elementi di vita non nel suo
interno, ma in quel cristianesimo che stava dando una formidabile prova di
vitalità. In questo paganesimo c’era un’evidente contraddizione quindi: copiava
ciò che voleva estirpare.
Il clero e il popolo pagano però si
mostrarono molto apatici e non prestarono adesione a questo paganesimo in forma
rinnovata.
Giuliano non solo perseguì una politica di
rilancio del paganesimo, ma anche praticò una politica anticristiana.
Inizialmente Giuliano manifestò propositi
di tolleranza: si scostò dalle ingerenze del potere imperiale cesaro-papista
praticate dal suo predecessore Costanzo; consentì il ritorno dall’esilio, al
quale erano stati condannati dal potere imperiale filo-ariano sia i vescovi
dell’ortodossia sia gli esponenti delle varie correnti eterodosse e
scismatiche. Con questo provvedimento Giuliano mirava, come sottolineava lo
storico Ammiano Marcellino, a indebolire il mondo cristiano, dando libero campo
agli scontri tra le varie posizioni dottrinali.
La scelta di tolleranza religiosa riguardò
anche il paganesimo e le altre religioni, che non solo videro la fine delle
interdizioni stabilite dagli imperatori cristiani ma anche videro la
restituzione dei beni che erano stati loro confiscati a vantaggio delle chiese
cristiane: anche questo ovviamente ebbe una ricaduta di impoverimento delle
istituzioni cristiane.
La scelta di tolleranza infine comportò
per la Chiesa la fine dell’appoggio imperiale e quindi un indebolimento sul
piano sociale, infatti si trovò a dovere subire molteplici tumulti e assalti
anticristiani, che coinvolsero persone, beni e istituzioni ecclesiastiche.
Giuliano non fu direttamente responsabile di tali violenze, talora anche le
disapprovò apertamente, ma mai giunse a comminare sanzioni.
Molto presto Giuliano si avvide che la sua
opera di restaurazione e di rinnovamento del paganesimo non conseguiva i
risultati da lui sperati, dovette anche rilevare che non c’erano segni di
tracollo del cristianesimo, prese quindi la decisione di abbandonare la linea
della tolleranza e di passare allo scontro frontale, colpendo i cristiani in
quei “diritti comuni”, che garantivano loro una presenza di rilievo nella vita
pubblica. Molto significativi furono i due provvedimenti sulla scuola.
Primo
provvedimento: data del 17 giugno 362 e lo troviamo riprodotto nel Codex
Theodosianus (13,3,5): ordinava che le città, che sino ad allora avevano
nominato liberamente i professori, sottomettessero la scelta all’approvazione
dell’imperatore.
Secondo
provvedimento: è conservato nell’Epistola 61, dell’epistolario di
Giuliano: precisava i criteri che si dovevano applicare nella nomina dei
professori: «Lascio
loro la scelta o di non insegnare ciò che credono pericoloso o, se vogliono
continuare le loro lezioni, di iniziare a convincere i loro allievi che né
Omero né Esiodo né alcuno degli scrittori che commentano e che accusano
contemporaneamente di empietà, di follia, di errore, sono tali… Se i professori
ritengono saggi gli scrittori che spiegano, bisogna che innanzitutto imitino i
loro sentimenti di pietà verso gli dei; se credono che gli dei venerati sono
falsi, vadano nelle chiese dei Galilei ad interpretare Matteo e Luca….».
Come si vede, non si faceva questione di
capacità didattico-pedagogiche, né di attitudini morali: tutto veniva ridotto
alla questione della credenza religiosa, secondo il principio della coerenza
tra ciò che si vive e ciò che si insegna.
Si prevedevano conseguenze di notevole
portata: siccome dal trivium, il cui insegnamento consisteva nel commento dei
classici, venivano esclusi i professori cristiani, si prevedeva che sarebbe
avvenuta una paganizzazione del corpo dei docenti. Si prevedeva che se i
giovani cristiani avessero scelto di frequentare le scuole pagane, si sarebbe
prodotto un consistente fenomeno di
paganizzazione della società futura e quindi una probabile estinzione del
cristianesimo in breve tempo. Se invece i giovani cristiani avessero scelto di
astenersi dalla scuole, avrebbero patito gravi discriminazioni sociali: esclusione
da tutti i posti dello stato e dell’amministrazione delle città per mancanza
degli studi richiesti; abbassamento del livello culturale dei cristiani con
inferiorità conseguente nella vita sociale ed economica; progressivo
sganciamento dal passato culturale del mondo romano-ellenistico. Quindi
l’astensione dei cristiani dalle scuole avrebbe comportato la riduzione dei
cristiani al rango di iloti, di paria.
Alcuni pagani equilibrati manifestarono aperto
dissenso nei confronti di queste leggi: Ammiano Marcellino nella sua opera Rerum gestarum libri XXXI (22, 10, 7) scrive:
“Era inumano e degno di essere sepolto in un eterno silenzio il divieto di
insegnare da lui fatto ai maestri di retorica e di grammatica, che
professassero la religione cristiana”.
Altri provvedimenti: esclusione dei cristiani
dalle maggiori cariche dell’amministrazione statale e dalla guardia imperiale;
disposizioni contro le città a maggioranza cristiana; divieto di inumazione a
pieno giorno (il mondo pagano praticava la cremazione e riteneva che sia il
venire a contatto con cadaveri sia la stessa presenza di cadaveri fossero una
profanazione); attacchi contro i vescovi, accusati di essere la cancrena, che
perturbava l’ordine pubblico.
In questo contesto di scontro frontale con il
cristianesimo si collocano le opere polemiche scritte dallo stesso Giuliano, in
particolare il Κατὰ Γαλιλαίων, in 3 libri.
Il primo libro ci è stato conservato
dall’opera confutatoria di Cirillo d’Alessandria intitolata: Pro sancta christianorum
religione adversus libros athei Juliani (PG 76, 503-1064). Florilegi e
catene in greco e siriaco ci hanno conservato frammenti del secondo libro. Il
terzo libro invece è completamente smarrito.
I cristiani sono qualificati come Galilei
per sottolineare quanto fosse ridicolo che la religione cristiana nonostante le
sue origini così umili pretendesse di elevarsi al prestigio di religione
universale.
Il cristianesimo viene presentato come πλάσμα, cioè invenzione di uomini malvagi, che si rivolge
alla parte irrazionale dell’anima, quella che ama le favole. Il cristianesimo è
anche νόσος / νοσήμα, cioè malattia della intelligenza, generata a causa del
decadimento della vera παιδεία, che invece continua a sussistere tra i pagani.
I cristiani infine sono cattivi cittadini, che hanno abbandonato le dolci leggi
dell’ellenismo per abbracciare leggi barbare e selvagge, in chiaro disprezzo
verso le tradizioni dei loro padri: pertanto sono degli ingrati, sono degli
empi, sono degli atei.
Impegnato in una spedizione contro i Persiani,
improvvisamente Giuliano trovò la morte il 26 giugno 363, a soli 32 anni, Così
finiva la sua illusione e la sua stessa morte repentina, apparendo agli occhi
della gente come un ripudio divino, fu ulteriore causa di indebolimento del
paganesimo.
In coda alla vicenda di Giuliano accenno ad un altro
momento di illusione, in cui al paganesimo occidentale parve di poter assumere
un ruolo di conduzione politica.
Nel 392 fu proclamato imperatore per la parte occidentale
dell’Impero Eugenio, un professore di retorica e cristiano. L’iniziativa fu
presa da Arbogaste, un generale barbaro, e molto presto ottenne il consenso
dell’aristocrazia pagana di Roma, che era capeggiata dal senatore Nicomaco
Flaviano.
Eugenio, benché cristiano, non disdegnò l’appoggio pagano,
anzi lo favorì e poi lo ricompensò, ordinando la restituzione dei beni
confiscati ai templi pagani e la collocazione dell’ara davanti alla statua
della Vittoria in Senato. Eugenio aveva l’intento di raccogliere il consenso
più ampio possibile, soprattutto da parte dei pagani, per fare fronte a
Teodosio, che godeva del lealismo della quasi totalità dei cristiani. Lo
scontro avvenne sul fiume Frigido (l’odierno Vipacco, vicino a Gorizia) il 6
settembre 394. Per Eugenio fu la fine.
L’intima opposizione dell’aristocrazia senatoria romana ebbe l’ardire di
trasformarsi in aperta ribellione, ma poco o nulla poté a fronte della
determinazione, con cui Teodosio volle dissociare il potere imperiale dalla
religione pagana per legarlo strettamente ed esclusivamente al cristianesimo.
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