sabato 24 febbraio 2024

 

Il paganesimo nel IV secolo:

il tentativo di restaurazione di Giuliano l’Apostata (331-363)

 

Figlio di Giulio Costanzo, fratello di Costantino, chiamato “apostata” già dai cristiani del suo tempo: da cristiano qual era si fece pagano e, divenuto imperatore, tentò di riportare al paganesimo un Impero, che stava diventando sempre più cristiano.

Si può facilmente spiegare come mai a Giuliano riuscì di operare la svolta, che desiderava imporre alla vita pubblica: nel periodo tardo-romano l’imperatore aveva assunto nell’Impero un ruolo determinante, incontrastato e incontrastabile, grazie all’incondizionato appoggio dell’esercito e della burocrazia. Giuliano potè contare non solo sulla sua forza assolutistica, autocratica, ma anche sul peso ancora notevole, di cui il paganesimo godeva nella società d’allora.

Più difficile è invece individuare le ragioni, che spinsero Giuliano alla scelta personale di apostasia: sono ragioni, che si collocano in gran parte nella sfera intima e misteriosa della sua persona, sfera in gran parte impenetrabile e indecifrabile. Forse una certa illuminazione può venirci dalla psicanalisi applicata all’infanzia di Giuliano, che fu contrassegnata da gravi esperienze traumatiche.

Pochi mesi dopo la sua nascita rimase orfano di madre. Nel 337, a 6 anni, perse anche il padre Giulio Costanzo, che fu assassinato dall’esercito:  nei mesi successivi alla morte di Costantino l’esercito fece strage di tutti i maschi della famiglia imperiale, che potessero contrastare l’ascesa al potere imperiale dei tre figli di Costantino, che erano ancora in vita: Costantino II, Costanzo e Costante. Giuliano fu risparmiato in ragione della sua tenera età, ma fu tenuto sotto rigido controllo dal cugino Costanzo, che lo condannò a vivere una infanzia ed un’adolescenza in una segregazione di tipo claustrale. In questi anni Giuliano maturò la convinzione che primo responsabile dell’assassinio di suo padre fu proprio il suo tutore, Costanzo.

L’educazione di Giuliano fu affidata a maestri di prestigio quali Eusebio di Nicomedia e Giorgio di Cappadocia, ma queste personalità erano troppo impegnate sia a corte sia nella vita ecclesiale per potere riservare a Giuliano tempo e cuore. Infatti Eusebio di Nicomedia fu presto nominato vescovo di Costantinopoli e a Giorgio di Cappadocia fu assegnata la sede di Alessandria e quindi mancò loro tempo per seguire Giuliano. Per di più questi due maestri insigni erano così imbevuti di razionalismo ellenistico da abbracciare l’arianesimo.

E’ quindi comprensibile che Giuliano crescesse, provando una grande senso di oppressione e di carenza affettiva, che lo sospinse a cercare evasione ed autoaffermazione ribelle. Andò a cercare il conseguimento di questo nel mondo ellenistico, che lo studio delle lettere gli faceva frequentare.

Ovviamente Giuliano non maturò una fede cristiana compatta, convinta, ma piuttosto alimentò la doppiezza di un agnostico ante litteram.

Giuliano fu battezzato, divenne anche lettore, visse una pratica cristiana caratterizzata da una fedeltà più volontaristica che di mente e di cuore: infatti Giuliano, quando si disfece della dottrina cristiana, mantenne ancora anche nel paganesimo pratiche e aspetti disciplinari del cristianesimo.

A 20 anni, nel 351, ottenne un attimo di libertà, che investì in ricerca culturale presso vari centri culturali d’Oriente. Fu anche alla scuola di Atene, dove conobbe Gregorio di Nazianzo, che studiava lì proprio in quegli stessi anni.

Ad Atene Giuliano maturò la decisione di abbandonare la fede cristiana per passare ad un sincretismo molto complesso, che associava al politeismo greco-romano tradizionale una interpretazione allegorica, secondo la tendenza del neoplatonismo in versione religiosa, che meglio si confaceva alla sua mente, che era più incline alla mistica che alle speculazioni filosofiche.

La presenza al potere di un Costanzo violento, che proprio in quegli anni aveva fatto giustiziare Gallo, suo cugino e fratello di Giuliano, indusse Giuliano a tenere nascosta la sua apostasia e a simulare di praticare le cerimonie cristiane. Elevato al ruolo di Cesare, Giuliano a partire dal 355 fu impegnato in Gallia sia per lottare contro i barbari sia per svolgere attività politico-amministrativa. Nella Gallia ancora prevalentemente pagana e lontano dal cugino Costanzo, Giuliano poté sia allentare i suoi legami con la Chiesa sia sviluppare una certa autonomia nei confronti dell’odiato cugino imperatore.

Nel febbraio 360 le truppe della Gallia proclamarono Giuliano imperatore e Giuliano per 21 mesi usurpò il titolo imperiale. A Costanzo non riuscì di imporsi sul cugino usurpatore, perché, mentre gli si mosse contro con una spedizione militare, cadde gravemente malato. Poco prima di morire Costanzo si trovò così costretto a designare come suo successore Giuliano, che era oramai l’unico maschio rimasto della dinastia imperiale. Nei 2 anni, in cui detenne il potere imperiale, Giuliano poté dare libero corso ai progetti, che aveva coltivato nella sua giovinezza inquieta e studiosa.

Si deve riconoscere in generale che la politica di Giuliano risentì gravemente del fatto, che era stata elaborata da un principe giovane, che troppo a lungo era stato lontano dalle molle del potere e invece si era lasciato influenzare dalle teorie piuttosto disincarnate dei filosofi e dei retori: ne conseguì che furono messe in atto scelte, che disconoscevano le esigenze reali del tempo. Questo spiega, insieme con la brevità del governo, il sostanziale fallimento della politica di Giuliano.

Soffermiamoci sul versante religioso di questa politica: ciò che prima di tutto traspare è tutto quel complesso di atti, che miravano a restaurare pienamente il paganesimo:

a)      soppressione di tutte quelle norme, che imponevano restrizioni al culto pagano (quindi riapertura dei templi, ampia possibilità di celebrare sacrifici, rilancio dell’attività edilizia pagana);

b)      riaffermazione del carattere pagano dello Stato: l’imperatore tornò a rivestire il ruolo di Pontifex Maximus; soppressione del labaro costantiniano; sulle monete tornarono a comparire le immagini delle divinità pagane; le cariche amministrative vennero affidate preferenzialmente ai pagani; trasferimento ai sacerdoti pagani dei privilegi civili, che erano stati attribuiti al clero cristiano;

c)      tentativo di rinnovare il paganesimo: si cercò di elaborare una teologia pagana, in cui dominava la figura di Zeus, che dalla sua sostanza divina trae il Sole, che svolge la funzione di mediatore tra l’idea del bene e la creazione: come si vede, si tratta di una teologia, in cui si intrecciano elementi del paganesimo tradizionale con elementi del platonismo e con elementi del dibattito trinitario cristiano.

d)      Costituì all’interno del paganesimo una gerarchia di sacerdoti, strutturandola sul modello dell’episcopato cristiano: i sacerdoti di una provincia dipendevano da un arci-sacerdote, che a sua volta dipendeva dal potere supremo dell’imperatore, Pontifex Maximus.

e)      Venne elaborato un cerimoniale per le celebrazioni cultuali, che prevedeva canti, preghiere e predicazione su testi sacri del paganesimo, presi soprattutto da Omero e da Esiodo.

f)       Si tentò anche di dare un’anima morale al paganesimo: sono molto significative le cosiddette “lettere pastorali” di Giuliano (Gibbon) ai sacerdoti pagani, in cui veniva loro raccomandato di condurre una vita irreprensibile, austera, che fosse per tutti esempio di pietà e di carità. Si dava una sottolineatura vigorosa al tema della fratellanza e dell’amore verso i più poveri della comunità, con chiaro rimando a quanto veniva praticato nelle comunità cristiane. Per le trasgressioni del codice morale pagano si prevedeva la penitenza, mentre per gli incorreggibili si comminava la scomunica.

Questo evidente rifarsi al cristianesimo di Giuliano nella sua azione di rinnovamento del paganesimo mostra da un lato la volontà e la speranza di coinvolgere parecchi cristiani nel paganesimo rigenerato e dall’altro però prova quanto il paganesimo stesso fosse cosciente che, se voleva ridarsi vitalità, doveva cercare elementi di vita non nel suo interno, ma in quel cristianesimo che stava dando una formidabile prova di vitalità. In questo paganesimo c’era un’evidente contraddizione quindi: copiava ciò che voleva estirpare.

Il clero e il popolo pagano però si mostrarono molto apatici e non prestarono adesione a questo paganesimo in forma rinnovata.

Giuliano non solo perseguì una politica di rilancio del paganesimo, ma anche praticò una politica anticristiana.

Inizialmente Giuliano manifestò propositi di tolleranza: si scostò dalle ingerenze del potere imperiale cesaro-papista praticate dal suo predecessore Costanzo; consentì il ritorno dall’esilio, al quale erano stati condannati dal potere imperiale filo-ariano sia i vescovi dell’ortodossia sia gli esponenti delle varie correnti eterodosse e scismatiche. Con questo provvedimento Giuliano mirava, come sottolineava lo storico Ammiano Marcellino, a indebolire il mondo cristiano, dando libero campo agli scontri tra le varie posizioni dottrinali.

La scelta di tolleranza religiosa riguardò anche il paganesimo e le altre religioni, che non solo videro la fine delle interdizioni stabilite dagli imperatori cristiani ma anche videro la restituzione dei beni che erano stati loro confiscati a vantaggio delle chiese cristiane: anche questo ovviamente ebbe una ricaduta di impoverimento delle istituzioni cristiane.

La scelta di tolleranza infine comportò per la Chiesa la fine dell’appoggio imperiale e quindi un indebolimento sul piano sociale, infatti si trovò a dovere subire molteplici tumulti e assalti anticristiani, che coinvolsero persone, beni e istituzioni ecclesiastiche. Giuliano non fu direttamente responsabile di tali violenze, talora anche le disapprovò apertamente, ma mai giunse a comminare sanzioni.

Molto presto Giuliano si avvide che la sua opera di restaurazione e di rinnovamento del paganesimo non conseguiva i risultati da lui sperati, dovette anche rilevare che non c’erano segni di tracollo del cristianesimo, prese quindi la decisione di abbandonare la linea della tolleranza e di passare allo scontro frontale, colpendo i cristiani in quei “diritti comuni”, che garantivano loro una presenza di rilievo nella vita pubblica. Molto significativi furono i due provvedimenti sulla scuola.

Primo provvedimento: data del 17 giugno 362 e lo troviamo riprodotto nel Codex Theodosianus (13,3,5): ordinava che le città, che sino ad allora avevano nominato liberamente i professori, sottomettessero la scelta all’approvazione dell’imperatore.

Secondo provvedimento: è conservato nell’Epistola 61, dell’epistolario di Giuliano: precisava i criteri che si dovevano applicare nella nomina dei professori: «Lascio loro la scelta o di non insegnare ciò che credono pericoloso o, se vogliono continuare le loro lezioni, di iniziare a convincere i loro allievi che né Omero né Esiodo né alcuno degli scrittori che commentano e che accusano contemporaneamente di empietà, di follia, di errore, sono tali… Se i professori ritengono saggi gli scrittori che spiegano, bisogna che innanzitutto imitino i loro sentimenti di pietà verso gli dei; se credono che gli dei venerati sono falsi, vadano nelle chiese dei Galilei ad interpretare Matteo e Luca….».

Come si vede, non si faceva questione di capacità didattico-pedagogiche, né di attitudini morali: tutto veniva ridotto alla questione della credenza religiosa, secondo il principio della coerenza tra ciò che si vive e ciò che si insegna.

Si prevedevano conseguenze di notevole portata: siccome dal trivium, il cui insegnamento consisteva nel commento dei classici, venivano esclusi i professori cristiani, si prevedeva che sarebbe avvenuta una paganizzazione del corpo dei docenti. Si prevedeva che se i giovani cristiani avessero scelto di frequentare le scuole pagane, si sarebbe prodotto un consistente  fenomeno di paganizzazione della società futura e quindi una probabile estinzione del cristianesimo in breve tempo. Se invece i giovani cristiani avessero scelto di astenersi dalla scuole, avrebbero patito gravi discriminazioni sociali: esclusione da tutti i posti dello stato e dell’amministrazione delle città per mancanza degli studi richiesti; abbassamento del livello culturale dei cristiani con inferiorità conseguente nella vita sociale ed economica; progressivo sganciamento dal passato culturale del mondo romano-ellenistico. Quindi l’astensione dei cristiani dalle scuole avrebbe comportato la riduzione dei cristiani al rango di iloti, di paria.

Alcuni pagani equilibrati manifestarono aperto dissenso nei confronti di queste leggi: Ammiano Marcellino nella sua opera Rerum gestarum libri XXXI (22, 10, 7) scrive: “Era inumano e degno di essere sepolto in un eterno silenzio il divieto di insegnare da lui fatto ai maestri di retorica e di grammatica, che professassero la religione cristiana”.

Altri provvedimenti: esclusione dei cristiani dalle maggiori cariche dell’amministrazione statale e dalla guardia imperiale; disposizioni contro le città a maggioranza cristiana; divieto di inumazione a pieno giorno (il mondo pagano praticava la cremazione e riteneva che sia il venire a contatto con cadaveri sia la stessa presenza di cadaveri fossero una profanazione); attacchi contro i vescovi, accusati di essere la cancrena, che perturbava l’ordine pubblico.

In questo contesto di scontro frontale con il cristianesimo si collocano le opere polemiche scritte dallo stesso Giuliano, in particolare il Κατὰ Γαλιλαίων, in 3 libri.

Il primo libro ci è stato conservato dall’opera confutatoria di Cirillo d’Alessandria intitolata: Pro sancta christianorum religione adversus libros athei Juliani (PG 76, 503-1064). Florilegi e catene in greco e siriaco ci hanno conservato frammenti del secondo libro. Il terzo libro invece è completamente smarrito.

I cristiani sono qualificati come Galilei per sottolineare quanto fosse ridicolo che la religione cristiana nonostante le sue origini così umili pretendesse di elevarsi al prestigio di religione universale.

Il cristianesimo viene presentato come πλάσμα, cioè  invenzione di uomini malvagi, che si rivolge alla parte irrazionale dell’anima, quella che ama le favole. Il cristianesimo è anche νόσος / νοσήμα, cioè malattia della intelligenza, generata a causa del decadimento della vera παιδεία, che invece continua a sussistere tra i pagani. I cristiani infine sono cattivi cittadini, che hanno abbandonato le dolci leggi dell’ellenismo per abbracciare leggi barbare e selvagge, in chiaro disprezzo verso le tradizioni dei loro padri: pertanto sono degli ingrati, sono degli empi, sono degli atei.

Impegnato in una spedizione contro i Persiani, improvvisamente Giuliano trovò la morte il 26 giugno 363, a soli 32 anni, Così finiva la sua illusione e la sua stessa morte repentina, apparendo agli occhi della gente come un ripudio divino, fu ulteriore causa di indebolimento del paganesimo.

In coda alla vicenda di Giuliano accenno ad un altro momento di illusione, in cui al paganesimo occidentale parve di poter assumere un ruolo di conduzione politica.

Nel 392 fu proclamato imperatore per la parte occidentale dell’Impero Eugenio, un professore di retorica e cristiano. L’iniziativa fu presa da Arbogaste, un generale barbaro, e molto presto ottenne il consenso dell’aristocrazia pagana di Roma, che era capeggiata dal senatore Nicomaco Flaviano.

Eugenio, benché cristiano, non disdegnò l’appoggio pagano, anzi lo favorì e poi lo ricompensò, ordinando la restituzione dei beni confiscati ai templi pagani e la collocazione dell’ara davanti alla statua della Vittoria in Senato. Eugenio aveva l’intento di raccogliere il consenso più ampio possibile, soprattutto da parte dei pagani, per fare fronte a Teodosio, che godeva del lealismo della quasi totalità dei cristiani. Lo scontro avvenne sul fiume Frigido (l’odierno Vipacco, vicino a Gorizia) il 6 settembre 394.  Per Eugenio fu la fine. L’intima opposizione dell’aristocrazia senatoria romana ebbe l’ardire di trasformarsi in aperta ribellione, ma poco o nulla poté a fronte della determinazione, con cui Teodosio volle dissociare il potere imperiale dalla religione pagana per legarlo strettamente ed esclusivamente al cristianesimo.

 

 

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