INTRODUZIONE
STORIOGRAFICA AI SECOLI IV - VIII
Il nostro studio di questo
periodo storico, che va dal IV secolo al secolo VIII, eredita ovviamente i dati
ed anche i pregiudizi dell'indagine
storiografica, che ci ha preceduto. Non è pertanto un male, se noi ora in
maniera estremamente veloce ci occupiamo delle interpretazioni storiografiche
passate.
IL RINASCIMENTO
Il Rinascimento - come si
sa - vide fra l'altro il ”rinascere” di un certo interesse critico per la storia, ma tale interesse fu rivolto soprattutto a
quel mondo classico, che per il Rinascimento rappresentava appunto il grande ed insuperabile paradigma, che doveva essere
richiamato alla vita. Il nostro periodo quindi fu completamente trascurato e disatteso dagli studi storici
rinascimentali.
IL XVII SECOLO
Nel XVII secolo,
soprattutto in Francia, si produssero i primi studi sui secoli immediatamente successivi alla classicità, Due sono i nomi che
meritano una particolare menzione: DU CANGE e LENAIN DE TILLEMONT. In generale si tratta di
un'indagine storica patrocinata e condizionata dai
grandi protagonisti della
monarchia assoluta francese (Richelieu, Colbert, Luigi XIV): nessuna
meraviglia quindi se prevale la tendenza a mettere
in evidenza e ad esaltare la
trasformazione, che ha interessato il potere imperiale nell’epoca di cui ci stiamo occupando: l’imperatore smise di essere
princeps e magistrato, che riceveva il sua potere per elezione da parte
del popolo romano, del senato e dell'esercito e che esercitava tale potere in connessione col senato in una specie di diarchia e divenne
invece un monarca assoluto, che mutuava sempre più dall'alto il suo potere, lo
esercitava prescindendo da ogni riferimento al senato e - per quanto gli
era possibile - lo trasmetteva per via dinastica.
ILLUMINISMO
DEL SECOLO XVIII
Ben diverso fu
l'atteggiamento del secolo successivo, il secolo dei lumi: l'interesse non
venne meno, ma l'ammirazione lasciò il posto alla disistima. E non poteva essere
diversamente, visto e considerato che la monarchia assoluta, il
cristianesimo, la potenza della Chiesa,
che gran parte tennero nel nostro periodo, costituivano invece per
l'illuminismo gli obiettivi negativi, contro cui voleva sferrare la sua lotta. Alcuni
nomi ed alcune opere devono essere senz'altro ricordati.
MONTESQUIEU
CHARLES, Considerations
sur les causes de la grandeur et de la décadence des Romains,1734.
Secondo Montesquieu due
sono le ragioni principali della decadenza dell'impero romano: il potere
dell'esercito e il lusso eccessivo; il cristianesimo a sua volta rapprenderebbe
un fattore di decadenza sia pure in misura
meno determinante.
GIBBON
EDWARD,
The History of the decline and fall of the roman Empire,
1776-1781.
Qui troviamo espressa con
vigore la tesi secondo cui dal secondo secolo al 1453 si sarebbe verificato il
trionfo della barbarie e della religione: anzi per il Gibbon proprio il
cristianesimo costituì il fattore principale di
cambiamento e decadenza.
LE BEAU
CHARLES, Histoire
du Bas-Empire, Paris 1757-1817.
A quest'autore dobbiamo l'introduzione dell'espressione
Basso Impero, dove l'aggettivo "basso" viene usato in senso
peggiorativo, come affermazione sintetica della grande decadenza, che avrebbe
caratterizzato l'impero cristiano.
La nozione di decadenza,
in questo contesto illuministico, divenne assolutamente pacifica ed usuale e la
storia del nostro periodo fu sempre più descritta come l'inesorabile agonia di
un impero, intimamente dilacerato e consunto dalle sue crisi e dai suoi vizi
organici.
IL ROMANTICISMO DEL XIX
SECOLO
Il XIX secolo vide il
prevalere dei sentimenti nazionalistici e gli studi storici divennero
prerogativa quasi esclusiva dei Tedeschi: ne derivò un’inevitabile spostamento
di accento.
In Germania l'ansia di nazione aveva dato vita ad una
discussione vivace. Da un parte c’era chi sosteneva il progetto di una “grande
Germania”, che associasse non solo
i popoli di lingua germanica, ma anche
quelli, che pur essendo di
lingua, cultura, ceppo etnico non germanici si trovavano sottoposti ad un
potere politico tedesco (l’impero austro-ungarico). Dall’altra parte c'era chi
propugnava invece il progetto di una "piccola Germania", costituita
solo dall'elemento germanico.
La discussione ebbe riflessi in campo storiografico. Gli
storici fautori del progetto della “grande Germania" vollero evocare la
grandezza imperiale dei popoli germanici, divenuti eredi del grande impero
romano e perciò elaborarono questa particolare lettura del momento
tardo-antico: l'impero, minato da una crisi mortale, trovò la possibilità di
rinascere grazie all'apporto germanico di energie fresche. Come si vede si
raccoglie la lettura negativa offerta dalla storiografia illuministica e la
si volge in positivo in nome
dell'intervento germanico, che tuttavia non rappresenterebbe una rottura
rispetto all'impero romano: ne sarebbe
la naturale continuazione su scala occidentale, quindi ben oltre i limiti
germanici!
Gli storici dell'altra corrente invece rilessero la storia
mettendo in evidenza che ogni espansione oltre il regno germanico fu fatale
alla nazione germanica: a partire da questa prospettiva presentarono il periodo
tardo-antico come fatto positivo proprio perché momento anti-imperialista: cioè
momento in cui la nazione germanica infranse l'imperialismo romano, che con il
suo dominio soffocava ogni aspirazione nazionale! I regni germanici sarebbero
la prima espressione di queste
aspirazioni nazionali liberate in forza dell'intervento germanico.
IL XX
SECOLO
Talora si ha l’impressione
di assistere allo scontro tra illuminismo e romanticismo: alludo in particolare
a due opere:
LOT F., La fin du monde
antique et le début du moyen âge, Paris 1927, dove viene riproposta la tesi
illuministica dell’agonia e della morte dell’impero romano per consunzione
interna.
PIGANIOL A., L’Empire
chrétien (325-395), Paris 1947, dove invece viene riaffermata la tesi
romantica dell’assassinio esterno.
Più frequentemente però si
assiste al tentativo di superare la contrapposizione, componendo in sintesi gli
aspetti positivi delle due tesi.
Questo sforzo ha portato
prima di tutto ad una lettura più dialettica e più sfumata dei secoli
successivi alla classicità: il concetto assolutamente negativo di “decadenza”
viene sostituito dal concetto più interlocutorio di “crisi”; l’espressione
“Basso Impero” ha lasciato il posto all’espressione “periodo tardo-antico”,
espressione assai più neutra.
In verità anche l’opera di
Piganiol, pur spiegando la caduta dell'impero romano secondo la prospettiva
romantica, pur prestando attenzione a queste nuove suggestioni di sintesi e anche ai limiti e alle
difficoltà interne dell'impero, ritiene di doverli leggere come segni di una
crisi di trasformazione e di sviluppo più che segni di un crollo
imminente.
Lo sforzo di sintesi ha
portato in secondo luogo ad una lettura più disincantata della classicità:
storici come A. AYMARD, C. PREAUX, J.MAILLET sono giunti addirittura a
formulare la tesi
secondo cui l'epoca tardo-antica si sarebbe trovata impegnata a superare
malattie ereditate proprio da quel periodo, che normalmente viene qualificato
come classico.
Una terza
conseguenza della preoccupazione sintetica della storiografia del XX secolo sarebbe rappresentata dalla nozione di
continuità: si è cioè sempre più rilevato che le diversità tra periodo classico
e periodo tardo-antico non sono tali da costituire una discontinuità.
Vengono
dunque messe in crisi quelle date di cesura che brillavano e brillano in tanti
manuali di storia: 312, conversione di Costantino;
o 330, inaugurazione di Costantinopoli; o 476, deposizione
dell'imperatore Romolo Augustolo nella parte occidentale dell’i.mpero; o 565,
morte di Giustiniano.
Si pensi
che A. DOPSH, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen
Kulturentwichlung, Wien, 1920- 1923, sostenne l’assenza di soluzione di
continuità nel mondo occidentale, in quanto le invasioni avrebbero determinato
una notevole ridistribuzione delle terre, ma non avrebbero compromesso le forme
romane: diritto, vita cittadina, economia monetaria commercio, cultura
continuarono a sussistere.
Oppure si pensi che PIRENNE, in varie sue opere, ha posto la fine del tempo romano-antico e l'inizio del Medioevo nell'ottavo secolo, quando l'invasione araba avrebbe spezzato l'unità mediterranea della “Romania”, separando Occidente ed Oriente e spostando il centro di gravitazione della parte occidentale nelle terre continentali del Nord.
Questo
discorso di decadenza o di crisi, che viene sviluppato in relazione alla storia globale di questi secoli, come si riflette sulla storia
della Chiesa?
Mi pare che
il problema, così posto, potrebbe includere due interrogativi diversi.
Il primo interrogativo riguarda la Chiesa
nella sua relazione con il mondo, in cui si trova a vivere: si vorrebbe infatti
vedere se la presenza e lo sviluppo della Chiesa hanno rappresentato per la
società romana un fattore di decadenza o di crisi: il problema fu di attualità allora e continua ad
esserlo tuttora, ma credo che vi sia stata indicata una prospettiva di
soluzione nel semestre scorso, allorché fu affrontato il problema delle
persecuzioni e della politica di Costantino.
Il secondo interrogativo
riguarda invece la vita interna della Chiesa, si vorrebbe cioè sapere se per la
Chiesa questi furono secoli di decadenza o di crisi. Nel passato si sono
contrapposte su questo tema due risposte.
Una
risposta era
assolutamente negativa ed era sostenuta – non senza
preoccupazioni apologetiche – dagli storici cattolici: i secoli, di cui ci
occuperemo erano infatti presentati come secoli di grande valore,in cui la
Chiesa cattolico-romana avrebbe buttato le basi della sua organizzazione
attuale, mantenendosi però in perfetta fedeltà e continuità nei confronti
della chiesa primitiva.
L'altra risposta
invece era assolutamente positiva, ed era proposta – non senza intenti polemici
dalla storiografia protestante ed in genere dalla storiografia legata agli
ambienti di dissidenza più o meno aspra nei confronti della istituzione
cattolica. Questa storiografia applicava senz'altro ai nostri secoli il
concetto di decadenza, in quanto la
mondanizzazione della Chiesa avrebbe dato vita ad
un'organizzazione ecclesiastica, che da una parte sarebbe in chiara rottura con
la chiesa primitiva e col vangelo e dall'altra rappresenterebbe la radice
dell'attuale chiesa cattolico-romana.
La storiografia più recente vede una certa
tendenza al superamento della netta contrapposizione, soprattutto laddove essa
si é lasciata penetrare sia dalle istanze ecumeniche sia da istanze di un
rigoroso e critico metodo storico, scevro il più possibile da aprioristiche
passioni polemiche o apologetiche. Certo non si deve pensare che storici
cattolici e storici protestanti lavorino in un ambiente mentale asettico: no,
continuano a partire dalle lo particolari e diverse concezioni, ma con
l'esigenza di non servirsene come si trattasse di una tesi assoluta da
dimostrare, comunque sia, violentando e manipolando i dati - se ne é - il caso:
la propria concezione particolare deve invece servire come ipotesi da
verificare con coraggio e con pazienza sui dati, di cui si dispone.
In particolare un più rigoroso senso storico ha
portato al superamento di una concezione statica e fissista della vita, della
dottrina e dell'organizzazione cristiana.
"Alla chiesa é propria una storicità
autentica; essa non vive al di fuori del tempo, in una dimensione - per dir
così - astratta, ma si immerge nel tempo e in esso, si temporalizza. ciò non
avviene in un modo tale per cui la Chiesa debba di fatto confondersi o
identificarsi con un'epoca qualsiasi. La Chiesa infatti non può essere
circoscritta da nessuna epoca: né dall'epoca del cristianesimo primitivo, né da
quella delle persecuzioni, né dall'era costantiniana e neppure dal periodo
della cultura greco-ellenistica. La Chiesa di per sé è neutrale dinanzi alle
diverse culture, il che non significa affatto che essa sia indifferente di
fronte alle medesime: al contrario, essa si pone accanto ad ogni cultura con
animo aperto e in vicinanza di cuore. Il suo compito infatti é quello di
portare Cristo ad ogni epoca e ad ogni cultura. La chiesa deve quindi
mantenersi in giusto equilibrio fra il distacco dal mondo e il consentimento al
mondo…
In questo spazio ideale, equidistante tanto
dalla fuga dal mondo quanto dall'asservimento al mondo, vi é posto in seno alla Chiesa sia per santi sia per peccatori, sia per vittorie sia per sconfitte. E
come sarebbe antiscientifico e antiteologico negare o ignorare i lati negativi
propri ad un determinato periodo, sarebbe altrettanto antistorico e antiscientifico
contestare, in questo stesso periodo, l’esistenza di aspetti positivi. Solo un
accecamento stolido e volontario può quindi portarci ad «affermare la condanna
globale — per altro impossibile dal punto di vista scientifico — della storia
della Chiesa post-costantiniana e, in modo particolare, dell'epoca papale
medievale" (Lortz). Lo slancio missionario, la
passione con cui furono affrontati e risolti problemi religiosi e teologici e - soprattutto - lo sviluppo assunto dal monachesimo e il
grande numero dei santi di questo periodo, conferiscono al tempo post-costantiniano,
nonostante le sue molteplici debolezze e pericoli, i caratteri di una grande
epoca della storia della Chiesa, piena di dinamismo di vero spirito
cristiano." (Franzen).
In questa prospettiva, e quasi a sua
dimostrazione, presento una valutazione sintetica del IV secolo, che costituirà
il primo momento della nostra analisi. Cominciamo con gli elementi negativi.
1. Una eccessiva dipendenza della Chiesa dallo
Stato: a partire da Costantino gli imperatori, sia pure in maniera diversa,
hanno cercato di ridurre la Chiesa a uno strumento della loro politica. Ciò si
é verificato soprattutto nella parte orientale dell'impero, dove i vescovi
troppo facilmente si sono mostrati ossequienti verso la volontà, imperiale.
2. Va pure ricordato come parecchi vescovi ed
ecclesiastici si siano preoccupati eccessivamente di ottenere il favore
dell'imperatore: comincia a profilarsi la piaga dei vescovi di corte.
3. La scomparsa delle persecuzioni, gli appoggi
del potere statale alla Chiesa, l'aumento rapido del numero dei cristiani
finirono col favorire tra i cristiani uno spirito mondano ed una certa
rilassatezza. Superfluo dire che la fortuna sorprendente del cristianesimo
portò parecchi ad una conversione e ad un'adesione di calcolo più che di
convinzione e pertanto in molti neoconvertiti il cristianesimo non fu altro
che una pratica esteriore, accompagnata dalla vecchia mentalità e dagli
inveterati costumi pagani.
4. Comincia ad emergere l'antagonismo tra Chiesa
orientale e Chiesa occidentale: se ne avrà un esempio chiaro nella controversia
ariana. La stessa creazione di una nuova capitale a Costantinopoli, dà avvio ad
un processo sia politico sia religioso di emulazione e di contrapposizione
rispetto a Roma.
5. L'unità ecclesiale appare scossa e
dilacerata da controversie e scismi, che turbano la vita o di tutta la Chiesa (controversia
ariana) o di alcune sue parti (scisma donatista; scisma antiocheno).
Accanto ai limiti meritano menzione anche gli
aspetti positivi.
1.
Finiscono le
persecuzioni e la religione cristiana riceve pubblico riconoscimento: accolta
in un primo momento come una fra le tante religioni dell'impero, molto presto
si trova ad essere oggetto dei privilegi e dei favori statali, finché giunge ad
essere dichiarata religione di stato.
Questo ribaltamento in positivo della
situazione favorisce lo sviluppo delle forze interne della Chiesa (forze
religiose, morali, intellettuali). In tal modo il cristianesimo diventa
particolarmente incisivo nei confronti del mondo pagano: mentre all'inizio del IV
secolo i cristiani sono circa 6 milioni e rappresentano la decima parte della
popolazione dell'impero, alla fine del secolo i cristiani sono la metà, se non
la maggior parte dei cittadini dell’impero, per un totale di circa 25 milioni
circa.
2.
La gerarchia
ecclesiastica nel corso dei secolo IV raggiunge la sua evoluzione definitiva:
organizzazione dei patriarcati, delle sedi
metropolitane, delle sedi primaziali, delle episcopali, In particolare vanno
segnalate due istituzioni:
a)
l'istituzione
conciliare raggiunge la sua perfezione con la convocazione dei primi concili
ecumenici. È vero che già prima del IV
secolo si erano tenute adunanze conciliari (II secolo per la questione
pasquale; III secolo per le questioni dei lapsi, del battesimo degli eretici e
della dottrina di Paolo di Samosata) ma si era sempre trattato di concili locali, o provinciali, o regionali. Nel
secolo IV invece con il concilio di Nicea abbiamo un’assemblea, alla quale
partecipano vescovi provenienti da tutta l'oikumene.
b)
Il primato del
vescovo di Roma nel corso del IV secolo trova affermazione più chiara ed
efficace sia nella dottrina sia nella prassi dei vescovi di Roma.
3.
La cura
pastorale viene organizzata accuratamente nei suoi vari aspetti e rimarrà
sostanzialmente inalterata fino alla fine dell'epoca antica.
4.
Il nostro
secolo poi vede il delinearsi della prima organizzazione monastica intorno a
figure come Antonio, Pacomio, Basilio.
5.
Sotto il
profilo dottrinale dobbiamo ricordare che le controversie non furono solo fonte
di pericoli e di danni, ma anche promossero un processo di chiarificazione
dottrinale: con la controversia ariana la teologia trinitaria giunse quasi alla
sua perfezione; con la controversia donatista sia la sacramentaria sia
l'ecclesiologia compirono notevoli progressi; nel IV secolo furono
infine gettate le basi per una definizione della dottrina circa la relazione
Chiesa-impero.
6.
Come sintesi
ed emblema della grandezza di questo secolo vorrei infine addurre il nome di
alcune grandi personalità, che vi vissero, lasciandovi un'impronta indelebile:
Atanasio, i tre cappadoci (Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di
Nissa), Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Giovanni Crisostomo, Ilario da
Poitiers, Gerolamo, Ambrogio, Agostino....
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