sabato 24 febbraio 2024

 

INTRODUZIONE STORIOGRAFICA AI SECOLI IV - VIII

 

Il nostro studio di questo periodo storico, che va dal IV secolo al secolo VIII, eredita ovviamente i dati ed anche i pregiudizi dell'indagine storiografica, che ci ha preceduto. Non è pertanto un male, se noi ora in maniera estremamente veloce ci occupiamo delle interpretazioni storiografiche passate.

 

IL RINASCIMENTO

Il Rinascimento - come si sa - vide fra l'altro il ”rinascere” di un certo interesse critico per la storia, ma tale interesse fu rivolto soprattutto a quel mondo classico, che per il Rinascimento rappresentava appunto il grande ed insuperabile paradigma, che doveva essere richiamato alla vita. Il nostro periodo quindi fu completamente trascurato e disatteso dagli studi storici rinascimentali.

 

IL XVII SECOLO

Nel XVII secolo, soprattutto in Francia, si produssero i primi studi sui secoli immediatamente successivi alla classicità, Due sono i nomi che meritano una particolare menzione: DU CANGE e LENAIN DE TILLEMONT. In generale si tratta di un'indagine storica patrocinata e condizionata   dai   grandi   protagonisti    della   monarchia  assoluta    francese    (Richelieu, Colbert, Luigi XIV): nessuna meraviglia quindi se prevale la tendenza a mettere in evidenza e ad esaltare la trasformazione, che ha interessato il potere imperiale nell’epoca di cui ci stiamo occupando: l’imperatore smise di essere princeps e magistrato, che riceveva il sua potere per elezione da parte del popolo romano, del senato e dell'esercito e che esercitava tale potere in connessione col senato in una specie di diarchia e divenne invece un monarca assoluto, che mutuava sempre più dall'alto il suo potere, lo esercitava prescindendo da ogni riferimento al senato e - per quanto gli era possibile - lo trasmetteva per via dinastica.

 

ILLUMINISMO DEL SECOLO XVIII

Ben diverso fu l'atteggiamento del secolo successivo, il secolo dei lumi: l'interesse non venne meno, ma l'ammirazione lasciò il posto alla disistima. E non poteva essere diversamente, visto e considerato che la monarchia assoluta, il cristianesimo, la  potenza della Chiesa, che gran parte tennero nel nostro periodo, costituivano invece per l'illuminismo gli obiettivi negativi, contro cui voleva sferrare la sua lotta. Alcuni nomi ed alcune opere devono essere senz'altro ricordati.

 

MONTESQUIEU CHARLES, Considerations sur les causes de la grandeur et de la décadence des Romains,1734.

Secondo Montesquieu due sono le ragioni principali della decadenza dell'impero romano: il potere dell'esercito e il lusso eccessivo; il cristianesimo a sua volta rapprenderebbe un fattore di decadenza sia pure in misura meno determinante.

         


GIBBON EDWARD,  The History of the decline and fall of the roman Empire, 1776-1781.


Qui troviamo espressa con vigore la tesi secondo cui dal secondo secolo al 1453 si sarebbe verificato il trionfo della barbarie e della religione: anzi per il Gibbon proprio il cristianesimo costituì il fattore principale di  cambiamento e decadenza.

 

LE BEAU CHARLES, Histoire du Bas-Empire, Paris 1757-1817.

A quest'autore dobbiamo l'introduzione dell'espressione Basso Impero, dove l'aggettivo "basso" viene usato in senso peggiorativo, come affermazione sintetica della grande decadenza, che avrebbe caratterizzato l'impero cristiano.

La nozione di decadenza, in questo contesto illuministico, divenne assolutamente pacifica ed usuale e la storia del nostro periodo fu sempre più descritta come l'inesorabile agonia di un impero, intimamente dilacerato e consunto dalle sue crisi e dai suoi vizi organici.

 

IL ROMANTICISMO DEL XIX SECOLO

Il XIX secolo vide il prevalere dei sentimenti nazionalistici e gli studi storici divennero prerogativa quasi esclusiva dei Tedeschi: ne derivò un’inevitabile spostamento di accento.

In Germania l'ansia di nazione aveva dato vita ad una discussione vivace. Da un parte c’era chi sosteneva il progetto di una “grande Germania”, che associasse non solo i popoli di lingua germanica, ma anche  quelli,  che pur essendo di lingua, cultura, ceppo etnico non germanici si trovavano sottoposti ad un potere politico tedesco (l’impero austro-ungarico). Dall’altra parte c'era chi propugnava invece il progetto di una "piccola Germania", costituita solo dall'elemento germanico.

La discussione ebbe riflessi in campo storiografico. Gli storici fautori del progetto della “grande Germania" vollero evocare la grandezza imperiale dei popoli germanici, divenuti eredi del grande impero romano e perciò elaborarono questa particolare lettura del momento tardo-antico: l'impero, minato da una crisi mortale, trovò la possibilità di rinascere grazie all'apporto germanico di energie fresche. Come si vede si raccoglie la lettura negativa offerta dalla storiografia illuministica e la si  volge in positivo in nome dell'intervento germanico, che tuttavia non rappresenterebbe una rottura rispetto all'impero  romano: ne sarebbe la naturale continuazione su scala occidentale, quindi ben oltre i limiti germanici!

Gli storici dell'altra corrente invece rilessero la storia mettendo in evidenza che ogni espansione oltre il regno germanico fu fatale alla nazione germanica: a partire da questa prospettiva presentarono il periodo tardo-antico come fatto positivo proprio perché momento anti-imperialista: cioè momento in cui la nazione germanica infranse l'imperialismo romano, che con il suo dominio soffocava ogni aspirazione nazionale! I regni germanici sarebbero la prima espressione di queste aspirazioni nazionali liberate in forza dell'intervento germanico.

 

IL XX SECOLO

Talora si ha l’impressione di assistere allo scontro tra illuminismo e romanticismo: alludo in particolare a due opere:

LOT F., La fin du monde antique et le début du moyen âge, Paris 1927, dove viene riproposta la tesi illuministica dell’agonia e della morte dell’impero romano per consunzione interna.

PIGANIOL A., L’Empire chrétien (325-395), Paris 1947, dove invece viene riaffermata la tesi romantica dell’assassinio esterno.

Più frequentemente però si assiste al tentativo di superare la contrapposizione, componendo in sintesi gli aspetti positivi delle due tesi.

Questo sforzo ha portato prima di tutto ad una lettura più dialettica e più sfumata dei secoli successivi alla classicità: il concetto assolutamente negativo di “decadenza” viene sostituito dal concetto più interlocutorio di “crisi”; l’espressione “Basso Impero” ha lasciato il posto all’espressione “periodo tardo-antico”, espressione assai più neutra.

In verità anche l’opera di Piganiol, pur spiegando la caduta dell'impero romano secondo la prospettiva romantica, pur prestando attenzione a queste nuove  suggestioni di sintesi e anche ai limiti e alle difficoltà interne dell'impero, ritiene di doverli leggere come segni di una crisi di trasformazione e di sviluppo più che segni di un crollo imminente.

Lo sforzo di sintesi ha portato in secondo luogo ad una lettura più disincantata della classicità: storici come A. AYMARD, C. PREAUX, J.MAILLET sono giunti addirittura a formulare la tesi secondo cui l'epoca tardo-antica si sarebbe trovata impegnata a superare malattie ereditate proprio da quel periodo, che normalmente viene qualificato come classico.

Una terza conseguenza della preoccupazione sintetica della storiografia del XX secolo sarebbe rappresentata dalla nozione di continuità: si è cioè sempre più rilevato che le diversità tra periodo classico e periodo tardo-antico non sono tali da costituire una discontinuità.

Vengono dunque messe in crisi quelle date di cesura che brillavano e brillano in tanti manuali di storia: 312, conversione di Costantino; o 330inaugurazione di Costantinopoli; o 476, deposizione dell'imperatore Romolo Augustolo nella parte occidentale dell’i.mpero; o 565, morte di Giustiniano.

Si pensi che A. DOPSH, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen der europäischen Kulturentwichlung, Wien, 1920- 1923, sostenne l’assenza di soluzione di continuità nel mondo occidentale, in quanto le invasioni avrebbero determinato una notevole ridistribuzione delle terre, ma non avrebbero compromesso le forme romane: diritto, vita cittadina, economia monetaria commercio, cultura continuarono a sussistere.

Oppure si pensi che PIRENNE, in varie sue opere, ha posto la fine del tempo romano-antico e l'inizio del Medioevo nell'ottavo secolo, quando l'invasione araba avrebbe spezzato l'unità mediterranea della “Romania”, separando Occidente ed Oriente e spostando il centro di gravitazione della parte occidentale nelle terre continentali del Nord.

Questo discorso di decadenza o di crisi, che viene sviluppato in relazione alla storia globale di  questi secoli, come si riflette sulla storia della Chiesa?

Mi pare che il problema, così posto, potrebbe includere due interrogativi diversi.

Il primo interrogativo riguarda  la Chiesa nella sua relazione con il mondo, in cui si trova a vivere: si vorrebbe infatti vedere se la presenza e lo sviluppo della Chiesa hanno rappresentato per la società romana un fattore di decadenza o di crisi: il problema fu di attualità allora e continua ad esserlo tuttora, ma credo che vi sia stata indicata una prospettiva di soluzione nel semestre scorso, allorché fu affrontato il problema delle persecuzioni e della politica di Costantino.

Il secondo interrogativo riguarda invece la vita interna della Chiesa, si vorrebbe cioè sapere se per la Chiesa questi furono secoli di decadenza o di crisi. Nel passato si sono contrapposte su questo tema due risposte.

Una risposta era assolutamente negativa  ed era sostenuta – non senza preoccupazioni apologetiche – dagli storici cattolici: i secoli, di cui ci occuperemo erano infatti  presentati come secoli di grande valore,in cui la Chiesa cattolico-romana avrebbe buttato le basi della sua organizzazione attuale, mantenendosi però in perfetta fedeltà e continuità nei confronti della chiesa primitiva.


 L'altra risposta invece era assolutamente positiva, ed era proposta – non senza intenti polemici dalla storiografia protestante ed in genere dalla storiografia legata agli ambienti di dissidenza più o meno aspra nei confronti della istituzione cattolica. Questa storiografia applicava senz'altro ai nostri secoli il concetto di decadenza, in quanto la mondanizzazione della Chiesa avrebbe dato vita ad un'organizzazione ecclesiastica, che da una parte sarebbe in chiara rottura con la chiesa primitiva e col vangelo e dall'altra rappresenterebbe la radice dell'attuale chiesa cattolico-romana.

La storiografia più recente vede una certa tendenza al superamento della netta contrapposizione, soprattutto laddove essa si é lasciata penetrare sia dalle istanze ecumeniche sia da istanze di un rigoroso e critico metodo storico, scevro il più possibile da aprioristiche passioni polemiche o apologetiche. Certo non si deve pensare che storici cattolici e storici protestanti lavorino in un ambiente mentale asettico: no, continuano a partire dalle lo particolari e diverse concezioni, ma con l'esigenza di non servirsene come si trattasse di una tesi assoluta da dimostrare, comunque sia, violentando e manipolando i dati - se ne é - il caso: la propria concezione particolare deve invece servire come ipotesi da verificare con coraggio e con pazienza sui dati, di cui si dispone.

In particolare un più rigoroso senso storico ha portato al superamento di una concezione statica e fissista della vita, della dottrina e dell'organizzazione cristiana.

"Alla chiesa é propria una storicità autentica; essa non vive al di fuori del tempo, in una dimensione - per dir così - astratta, ma si immerge nel tempo e in esso, si temporalizza. ciò non avviene in un modo tale per cui la Chiesa debba di fatto confondersi o identificarsi con un'epoca qualsiasi. La Chiesa infatti non può essere circoscritta da nessuna epoca: né dall'epoca del cristianesimo primitivo, né da quella delle persecuzioni, né dall'era costantiniana e neppure dal periodo della cultura greco-ellenistica. La Chiesa di per sé è neutrale dinanzi alle diverse culture, il che non significa affatto che essa sia indifferente di fronte alle medesime: al contrario, essa si pone accanto ad ogni cultura con animo aperto e in vicinanza di cuore. Il suo compito infatti é quello di portare Cristo ad ogni epoca e ad ogni cultura. La chiesa deve quindi mantenersi in giusto equilibrio fra il distacco dal mondo e il consentimento al mondo…

 In questo spazio ideale, equidistante tanto dalla fuga dal mondo quanto dall'asservimento al mondo, vi é posto in seno alla Chiesa sia per santi sia per peccatori, sia per vittorie sia per sconfitte. E come sarebbe antiscientifico e antiteologico negare o ignorare i lati negativi propri ad un determinato periodo, sarebbe altrettanto antistorico e antiscientifico contestare, in questo stesso periodo, l’esistenza di aspetti positivi. Solo un accecamento stolido e volontario può quindi portarci ad «affermare la condanna globale — per altro impossibile dal punto di vista scientifico — della storia della Chiesa post-costantiniana e, in modo particolare, dell'epoca papale medievale" (Lortz). Lo slancio missionario, la passione con cui furono affrontati e risolti problemi religiosi e teologici e - soprattutto - lo sviluppo assunto dal monachesimo e il grande numero dei santi di questo periodo, conferiscono al tempo post-costantiniano, nonostante le sue molteplici debolezze e pericoli, i caratteri di una grande epoca della storia della Chiesa, piena di dinamismo di vero spirito cristiano." (Franzen).

In questa prospettiva, e quasi a sua dimostrazione, presento una valutazione sintetica del IV secolo, che costituirà il primo momento della nostra analisi. Cominciamo con gli elementi negativi.

1. Una eccessiva dipendenza della Chiesa dallo Stato: a partire da Costantino gli imperatori, sia pure in maniera diversa, hanno cercato di ridurre la Chiesa a uno strumento della loro politica. Ciò si é verificato soprattutto nella parte orientale dell'impero, dove i vescovi troppo facilmente si sono mostrati ossequienti  verso la volontà, imperiale.

2. Va pure ricordato come parecchi vescovi ed ecclesiastici si siano preoccupati eccessivamente di ottenere il favore dell'imperatore: comincia a profilarsi la piaga dei vescovi di corte.

3. La scomparsa delle persecuzioni, gli appoggi del potere statale alla Chiesa, l'aumento rapido del numero dei cristiani finirono col favorire tra i cristiani uno spirito mondano ed una certa rilassatezza. Superfluo dire che la fortuna sorprendente del cristianesimo portò parecchi ad una conversione e ad un'adesione di calcolo più che di convinzione e pertanto in molti neoconvertiti il cristianesimo non fu altro che una pratica esteriore, accompagnata dalla vecchia mentalità e dagli inveterati costumi pagani.

4. Comincia ad emergere l'antagonismo tra Chiesa orientale e Chiesa occidentale: se ne avrà un esempio chiaro nella controversia ariana. La stessa creazione di una nuova capitale a Costantinopoli, dà avvio ad un processo sia politico sia religioso di emulazione e di contrapposizione rispetto a Roma.

5. L'unità ecclesiale appare scossa e dilacerata da controversie e scismi, che turbano la vita o di tutta la Chiesa (controversia ariana) o di alcune sue parti (scisma donatista; scisma antiocheno).

Accanto ai limiti meritano menzione anche gli aspetti positivi.

1.                  Finiscono le persecuzioni e la religione cristiana riceve pubblico riconoscimento: accolta in un primo momento come una fra le tante religioni dell'impero, molto presto si trova ad essere oggetto dei privilegi e dei favori statali, finché giunge ad essere dichiarata religione di stato.

Questo ribaltamento in positivo della situazione favorisce lo sviluppo delle forze interne della Chiesa (forze religiose, morali, intellettuali). In tal modo il cristianesimo diventa particolarmente incisivo nei confronti del mondo pagano: mentre all'inizio del IV secolo i cristiani sono circa 6 milioni e rappresentano la decima parte della popolazione dell'impero, alla fine del secolo i cristiani sono la metà, se non la maggior parte dei cittadini dell’impero, per un totale di circa 25 milioni circa.

2.    La gerarchia ecclesiastica nel corso dei secolo IV raggiunge la sua evoluzione definitiva:

organizzazione dei patriarcati, delle sedi metropolitane, delle sedi primaziali, delle episcopali, In particolare vanno segnalate due istituzioni:

 

a)    l'istituzione conciliare raggiunge la sua perfezione con la convocazione dei primi concili ecumenici. È   vero che già prima del IV secolo si erano tenute adunanze conciliari (II secolo per la questione pasquale; III secolo per le questioni dei lapsi, del battesimo degli eretici e della dottrina di Paolo di Samosata) ma si era sempre trattato di concili  locali, o provinciali, o regionali. Nel secolo IV invece con il concilio di Nicea abbiamo un’assemblea, alla quale partecipano vescovi provenienti da tutta l'oikumene.

b)   Il primato del vescovo di Roma nel corso del IV secolo trova affermazione più chiara ed efficace sia nella dottrina sia nella prassi dei vescovi di Roma.

 

3.         La cura pastorale viene organizzata accuratamente nei suoi vari aspetti e rimarrà sostanzialmente inalterata fino alla fine dell'epoca antica.

4.    Il nostro secolo poi vede il delinearsi della prima organizzazione monastica intorno a figure come Antonio, Pacomio, Basilio.

5.    Sotto il profilo dottrinale dobbiamo ricordare che le controversie non furono solo fonte di pericoli e di danni, ma anche promossero un processo di chiarificazione dottrinale: con la controversia ariana la teologia trinitaria giunse quasi alla sua perfezione; con la controversia donatista sia la sacramentaria sia l'ecclesiologia compirono notevoli progressi; nel IV secolo furono infine gettate le basi per una definizione della dottrina circa la relazione Chiesa-impero.

6.    Come sintesi ed emblema della grandezza di questo secolo vorrei infine addurre il nome di alcune grandi personalità, che vi vissero, lasciandovi un'impronta indelebile: Atanasio, i tre cappadoci (Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa), Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Giovanni Crisostomo, Ilario da Poitiers, Gerolamo, Ambrogio, Agostino....

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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